I bambini sono sistemati, con cappotti, cappelli, guanti. La cucina è in ordine, le stanze anche. Fuori il cielo è cupo e i passanti devono lottare contro un vento gelido che sciabola i volti e spazza le strade. Ma non c’è forza della natura che la possa fermare: la tata Vivian, sia che nevichi, che scenda la pioggia a catinelle, che ci si bruci al solleone, trascina i suoi piccoli protetti su per giù per le vie di Chicago, o di New York, camminando spedita e fermandosi quando qualcosa o qualcuno cattura la sua attenzione. Una donna che si abbandona stanca su una panchina, un uomo con una giacca troppo larga, ragazze che ridono camminando a braccetto, una finestra aperta, un gatto che si liscia il pelo, un sasso che cade in un stagno, bambini che saltellano dietro un pallone, un uomo anziano e malvestito che trascina i piedi... Vivian si ferma, regola la sua macchina fotografica Rolleiflex o la sua Leica. L’obiettivo ferma per sempre quel frammento di realtà e lo trasforma, perché dietro la macchina c’è l’occhio di Vivian, il suo sguardo bizzarro, trasfigurante, poetico.
Geniale. Anche se non conosce esattamente il potere e la grandezza di quello sguardo, per vivere fa la baby sitter, o meglio la governante, presso famiglie benestanti dei cui figli si occupa ogni giorno. È una fotografa per passione, quasi per caso, certo per talento, non per mestiere, anche se talvolta lo avrebbe desiderato. Ed è sempre il caso, o il destino, che fa scoprire al mondo il dono di Vivian, quel suo sguardo tagliente, vibrante. Nel 2007 il giovane John Maloof acquista all’asta per 400 dollari una scatola contenente centinaia di negativi scattati da una fotografa sconosciuta, la Maier, appunto. Sviluppandoli, il fotoamatore di Chicago si rende conto di aver scoperto un’artista fuori dal comune, dando così il via a una ricerca che lo porta a recuperare oltre 150mila negativi e 3mila stampe. Dall’archivio di Maloof prende le mosse Vivian Maier. The exhibition, la grande retrospettiva dedicata alla fotografa statunitense, che offre al pubblico un’occasione unica per esplorare il suo universo creativo. Allestita presso il Centro Culturale Altinate/San Gaetano di Padova la mostra è già un successo, con oltre diecimila visitatori, e molti che se ne aggiungono di giorno in giorno, tanto che si è deciso di prorogarla fino al 19 ottobre. La mostra, curata da Anne Morin, la maggiore esperta della vita e delle opere della fotografa, presenta oltre 200 fotografie, sia a colori che in bianco e nero, tra cui scatti diventati iconici e molti inediti. Insieme si possono scoprire anche oggetti personali appartenuti all’artista, documenti inediti, registrazioni audio e filmati Super 8. Tra scene di vita quotidiana nelle metropoli statunitensi, ritratti di passanti e bambini e molti dei suoi autoritratti, ormai celebri, in cui Maier ama fissare a propria immagine riflessa negli specchi o nelle vetrine delle affollate vie delle metropoli in cui vive. La vita dell’artista, morta nel 2009, quella più intima, nascosta, mentre lei continua a fare la governante, è stata avvolta per lunghi anni in un alone di mistero: la sua passione per la fotografia, infatti, rimane segreta per quasi tutta la sua esistenza. Il suo carattere rimane anch’esso un mistero nel mistero: se si ascoltano le testimonianze di chi l’ha conosciuta emerge un ritratto cangiante, ambiguo. Una donna dolce, capace di entrare in totale sintonia con i bambini, divertente, imprevedibile... e poi un’altra immagine sembra sovrapporsi, quella di una donna irascibile, persino violenta, piena di manie, di stranezze. E ancora quella malinconica di una donna anziana e dimenticata, che muore nella solitudine.
Quello su cui tutti sono d’accordo è il riconoscimento della sua dedizione incrollabile verso la fotografia. Maier tiene sempre a portata di mano la macchina fotografica con cui cattura compulsivamente immagini di vita quotidiana, in un certo senso scrive un romanzo sulla vita nelle grandi città americane dagli anni Cinquanta in poi, dai passanti lungo le strade di New York ai senzatetto di Chicago, la grandezza e la miseria di quei tempi e delle persone che ne sono protagonisti, senza censurare niente, tra ironia, pietas, cercando, tra le pieghe della realtà, la sua poesia e il suo mistero nascosti. Non per nulla la Maier è oggi considerata una pioniera della street photography. Ancora misteri: sulla sua famiglia, sulle sue origini. Si conosce un periodo felice che ha trascorso in Francia, quando la madre, di origini francesi, tra il 1932 e il 1933, la riporta a Saint-Julien, poi a Saint-Bonnet -en -Champsaur. Parte dell’infanzia di Vivian si svolge quindi in Francia, dai sei-sette anni fino ai dodici. In quel periodo, Vivian parla francese e gioca con i bambini della sua età mentre Maria, sua madre, scatta fotografie. Forse da quegli scatti, che tentano di definire quella felicità pronta a fuggire, è nata la voglia di inseguire la vita e ridisegnarla, attraverso l’obiettivo.