San Gennaro pro-Pal non è un miracolo, è solo l’ultimo prodigio ideologico della contemporaneità, ormai un guazzabuglio mono-ossessivo in cui tutte le strade, sacre e profane, paiono portare nello stesso posto. Gaza City, luogo d’espiazione di tutte le anime belle nostrane (così irritate da questo occidentale, l’israeliano, che non vive al riparo nei salotti occidentali) e anche il primo pensiero di molti pastori di anime. Intendiamoci, che la sofferenza del civile gazawo (come dell’ucraino, o dell’iraniano straziato dagli ayatollah, o dell’africano nei numerosi teatri di morte sparsi in quel continente, ma nessuno di costoro genera fenomeni ossessivi di massa) interpelli la coscienza di ogni uomo, e quindi a maggior ragione dell’uomo di Chiesa, è una non-notizia. Che però anche per porporati illustrissimi gli accadimenti della Striscia rappresentino l’unica parola degna di essere pronunciata e l’unica chiave esplicativa (pure di fronte al sangue del santo che si scioglie), è viceversa un inedito. Significa che le priorità mondane hanno fatto breccia anche lì, le gerarchie ecclesiastiche come i talebani di Venice4Palestine, il mistero e l’arte cinematografica ridotti entrambi a bigini terzomondisti. Inaugurazione della Settimana Liturgica nazionale, Duomo di Napoli, alla presenza del segretario di Stato della Santa Sede, cardinale Pietro Parolin.
Vengono esposte sull’altare le reliquie e, come annuncia l’abate della Cappella del Tesoro di San Gennaro, monsignor Vincenzo De Gregorio, «nel momento in cui è stata prelevata la teca, il sangue si è presentato completamente liquido». Il cardinale Parolin si intrattiene a margine della cerimonia con i giornalisti, ha davanti i taccuini e l’intero scibile, compreso il manifestarsi di quello che perla Chiesa è un evento prodigioso, in una città e in un territorio che conservano ferite recenti e secolari, e che in quel momento sono “il prossimo” per eccellenza, l’umanità più vicina. Parolin sceglie di andare lontanissimo, dove vanno tutti: «Restiamo allibiti di fronte a quello che sta succedendo a Gaza nonostante la condanna del mondo intero».
L’uscita in agenzia è assicurata, il segretario di Stato vaticano nel rullo tra un attore mediamente engagé e un Bonelli qualsiasi, di cui finisce per riproporre gli strafalcioni: non esiste alcuna “condanna del mondo intero”, basti pensare che la principale potenza globale (sono ancora gli Usa, per quanto Parolin da tempo si sia argutamente dedicato a tessere relazioni con Pechino) appoggia il diritto dello Stato degli ebrei di difendersi da chi vuole cancellarlo. Si chiama Hamas, non trova spazio nei virgolettati del cardinale. C’è invece la richiesta diretta e autorevole di intercessione al Santo per...Gaza, sempre Gaza, l’alfa e l’omega della cronaca e ormai anche dello spirito: «Quello che sta succedendo a Gaza proprio non ha senso. E credo che anche San Gennaro possa con la sua intercessione aiutarci a fare qualche cosa. Lo pregheremo anche per questo». Facci il miracolo, San Gennaro, porta la pace in Palestina, e detto così suona benissimo, ovviamente. In quella fiumana contraddittoria e a volte insozzata che è la storia mentre si fa rischia di diventare: ferma l’offensiva, San Gennaro, fai rifiatare le belve, salva quel che resta dei tunnel dell’orrore, premia la pratica barbara degli scudi umani, in primis col corpo dei più fragili, che per le belve sono anche i più notiziabili. Auspicare «l’intercessione dei Santi» («ce n’è bisogno», ribadisce Parolin), patrono partenopeo in primis, per congelare sic et simpliciter l’inferno di Gaza, rischia di ridurli a testimonial pro-Pal tra i tanti, di adottare involontariamente nel tempio il linguaggio dei mercanti di idee, che poi è sempre una, sempre la stessa. Salviamo Gaza. Già, ma da chi? Il Santo tace, e ha ragione: la risposta è profana, autoevidente, e indossa la kefiah.