Ilaria Salis - Viktor Orban 1-0. Il voto contrario della Commissioni giuridica dell’Eurocamera alla revoca dell’immunità parlamentare era forse il risultato più complesso da raggiungere vista la composizione ristretta - e avversa - dell’organo Ue. Invece per la Salis è andata meglio delle attese e, di conseguenza, l’eurodeputata è passata all’attacco. «Qui non è in gioco soltanto la mia vicenda personale, è l’indipendenza stessa del Parlamento Ue a essere sotto attacco, di fronte a un regime che usa il potere giudiziario come un’arma politica», ha arringato in conferenza l’esponente del gruppo Left. Riuscito il primo ribaltone, ora la rossa Ilaria punta a persuadere quanti più colleghi del Ppe possibili. Del resto, è stata proprio lei a rivelare a Repubblica di aver già ricevuto la solidarietà di diversi esponenti popolari, pronti a votare in suo favore anche durante la plenaria del 7 ottobre.
«Non faccio nomi, ma l’ho ricevuta (la solidarietà, ndr) anche da colleghi di destra, che si sono mostrati sinceramente preoccupati per la mia situazione. Hanno capito cosa potrebbe accadermi e sono consapevoli dello stato di salute della democrazia in Ungheria», ha svelato la Salis. Forte di questo supporto, l’eurodeputata si è detta «fiduciosa che, al di là delle differenze politiche», nei moderati del Ppe «prevarrà il rispetto del dello Stato di diritto, il rispetto dei valori democratici, dei valori che sono propri dell’Europa». Nel corso della conferenza stampa tenuta a Bruxelles, insieme al copresidente di The Left Martin Schirdewan e al magistrato Cuno Tarfusser, l’ex detenuta ha rimarcato la sua linea difensiva: «La mia richiesta è chiara: voglio essere processata in Italia, non in Ungheria». Un invito, più o meno provocatorio, al ministro della Giustizia Carlo Nordio, unico in grado di chiedere alla giustizia magiara il trasferimento del caso in capo ai tribunali italiani. Ed è stata lei stessa a definirsi una «dissidente politica» del governo ungherese, lamentando quindi nei suoi confronti una giustizia «politica, ideologica, di vendetta e propaganda».
Da lì è cominciato l’attacco frontale all’Ungheria, accusata di volerla «screditare e silenziare» tramite «il metodo della diffamazione e della minaccia». Lo stesso premier Orban è stato chiamato in causa dalla Salis, reo di averla diffamata chiamandola «terrorista» in più occasioni. Per questo motivo, la parlamentare di Avs si è detta convinta che «in un simile contesto, sarei sottoposta ad una persecuzione certa e spietata». Nel giorno della gloria, a rompere le uova nel paniera della Salis ci ha pensato un cronista ungherese. Il giornalista di HirTv ha mostrato la foto di uno dei militanti di estrema destra con il volto tumefatto dopo l’aggressione del gruppo Antifa nel Giorno dell’Onore 2023. E, avvicinandosi al palco, ne ha chiesto conto a Ilaria Salis: «Questa persona è stata attaccata dai suoi colleghi a Budapest e forse da lei. La riconosce? Che ci faceva a Budapest nella primavera del 2023?». Visibilmente sorpresa, lei ha prima replicato seccata di essere «stufa di ricevere accuse e diffamazioni: neanche la magistratura ungherese mi ha mai accusato di aver picchiato quella persona». Poi però, in merito alla sua “trasferta” ungherese, è rimasta molto vaga. «Mi sono recata a Budapest per prendere parte ad una contromanifestazione antifascista», ha balbettato, aggiungendo di essere stata «tirata giù da un taxi, da parte di quella che poi ho scoperto essere la Polizia ungherese, perché non si sono neanche qualificati». Parole evasive su cui ha fatto perno il governo ungherese per replicare: «La conferenza stampa di oggi è una confessione di colpa da parte di Ilaria Salis», ha dichiarato il portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs. «Salis e il suo gruppo sono venuti in Ungheria con l’obiettivo premeditato di picchiare la gente per strada per motivi politici. Questa non è politica, è terrorismo».