La ricostruzione

Amadeus e Coletta inquinano Sanremo poi fanno le vittime

Renato Farina

Possiamo raccontare questi cinque giorni del festival in un modo un tantino alternativo? Visto che esiste l’articolo 21 della Costituzione, giustamente esaltato da Roberto Benigni davanti al Capo dello Stato, ci mettiamo in scia di questa formidabile coppia di safety -car, rifugiandoci sotto il loro mantello di libertà. Il titolo di prima pagina del Corriere della Sera di ieri dedicato a Sanremo ci pare perfetto. “Se l’Ariston fa opposizione”. Il “se” non esprime dubbi, com'è noto, nel caso di periodo ipotetico del primo tipo. La grammatica è importante. Del resto la cronaca di Fabrizio Roncone, sotto le bollicine di sarcasmo riferito però solo ai ministri in carica, conferma. L’Ariston fa opposizione. E a chi l’ha fatta quest’opposizione? Risposta ovvia e sottintesa: al governo. Il quale naturalmente replica. Insomma: una bagarre politica che si è intrufolata tra le canzoni indebitamente.

 

 

 

Be’, specialmente dopo la sceneggiata, ampiamente premeditata, del rapporto omosessuale mimato e il bacio nient’affatto teatrale tra Fedez e un cantante di genere fluido in nome della libertà è fattuale constatare che non si è dato addosso in primis al governo - quello è il bersaglio apparente e un po’ troppo scontato, e non ce la beviamo- ma si è trattato anzitutto e programmaticamente di una opposizione violenta, mascherata da arte popolare, di quello che oggi si usa chiamare “sentiment”, cioè il sentire profondo della gran parte del popolo italiano.
Ne forniamo una prova chiara come il sole. Amadeus, interpretando perfettamente le intenzioni dell’Alto Colle - come confermato dagli articoli entusiasti e con interi paragrafi letteralmente identici degli autorevoli quirinalisti Marzio Breda (Corriere) e Ugo Magri (La Stampa) -, il bravo conduttore ha rubato i panni del compianto Umberto Eco, e, rimpiazzandone il vuoto, ha regalato agli studenti di semiologia del Dams, il seguito del celebre saggio “La fenomenologia di Mike Bongiorno”. Con splendido messaggio subliminale ha comunicato ai dodici, tredici, mille milioni di telespettatori il significato dell’“Essere qui” (Heidegger) di Sergio Mattarella. La «presenza in sala dell’amato garante della Costituzione», ha annunciato, infagottato in una delle sue luminescenti giacche, è l’incoronazione di questo spettacolo come «la massima espressione della cultura popolare» dell'Italia. Quello che accadrà su questo palco - ci ha inoculato Amadeus nell'ipertesto apparso soltanto nei sottotitoli della Papuasia- è l’espressione autentica di cultura-ideali-gusti-morale-usi-e-costumi di chi, dalla poltrona qui o dal divano là, vivrà nel bagnomaria delle cinque giornate di una guerra di civiltà contro l’oscurantismo della plebe che non doveva votare chi ci governa, e va rieducata. Mattarella è stato usato come aspersorio di qualcosa che non c'entra niente con il cuore pulsante di questo Paese. Il cui senso delle cose si esprime in democrazia con la scelta dei propri delegati in Parlamento.

 

 

 

 

SERMONI

 

Che c’entra allora la sequenza ostinata di cosiddette trasgressioni, e i discorsi, anzi i sermoni o forse salmoni, più o meno sulla medesima falsariga piagnona della quadriglia femminile capeggiata da Chiara Ferragni, che rappresentano quello che onestamente Fabrizio Ronconi ha riconosciuto essere molto più che un contrasto contro il governo per conto degli sfaldati partiti di sinistra, ma la loro auspicata supplenza: «Amadeus non solo ha liquidato Salvini con un sorriso di ferro, ha schierato sul palco quattro donne che, con i loro monologhi, sono state capaci di scaldare i cuori di una sinistra da tempo disorientata, remissiva e perdente». Qual è la parola chiave? Monologhi. Funziona così la libertà in Costituzione? Un balsamo Sloan per raddrizzare la schiena della sinistra, senza il disturbo di un altro parere? Mattarella sorridendo dal palco non credo benedicesse l’esclusiva al pensiero di costoro. Non penso intendesse parafrasando l’amato Sant’Agostino: “Ama(deus) e fa ciò che vuoi”. Perché mai un altro sentimento della vita, un diverso giudizio, non potesse completare la gamma dei colori di questa nazione. Chi preferisce un’altra tinta della vita dev'essere ritenuto indegno di esercitare, non qui alla tastiera, ma sul palco del festival, il proprio diritto non a contrapporsi, non per forza l’aut-aut, ma l’et-et. Niente, vietato l'ingresso, dev’esserci un comma segretato dell'art.
21 perché scurrile, tipo: libertà di opinione, ma la Rai fa il cazzo che vuole. Oppure c’è un comma che non sapevamo nel contratto che assegna all'azienda di Viale Mazzini il ruolo di servizio pubblico obbligandoci a pagarne il canone?

 

 

 

PENSIERO “FLUIDO”

Torno al titolo del Corriere: “Se l’Ariston fa opposizione”. Chi è l’Ariston? Che carta di identità ha il teatro con questo nome da Bella Epoque?
Rai. La più importante industria culturale d’Europa, come si usa dire, possiamo dire che non ci rappresenta? D'accordo che Amadeus è daltonico, ma noi no. Dopo di che gli sbandieratori del pensiero progressista fluidificante si atteggiano a vittime. Dopo aver applaudito all’occupazione di Sanremo da parte della monocultura delle élite, adesso dinanzi al libero giudizio e all'evidente diritto del Parlamento- essendone azionista di maggioranza insieme al Tesoro - di licenziare i dirigenti della tivù di Stato . Basti e avanzi il titolo di Repubblica: “FdI, assedio alla Rai”. Anzi no, c'è spazio anche per quello della Stampa: “L’editto di Fratelli d'Italia” contro i vertici della Rai. Questo si chiama girare oscenamente la frittata, falsificare il bilancio morale del Festival. Detto questo: viva Mengoni, viva Giorgia (ed Elisa).