Qualche anno fa un corteo antifascista sfilò per Milano lanciando uno slogan di quelli che ti fanno venire la pelle d’oca. Diceva così: «Tutti i fascisti come Ramelli, con una riga rossa tra i capelli». Ascolti quei ragazzi gridare a squarcia gola quella rima oscena, e pensi che l’umanità, forse, fa schifo. Sergio Ramelli era un ragazzino di 19 anni, studiava da perito chimico, amava la politica. Erano gli anni ruggenti della politica, moltissimi ragazzi ne venivano trascinati. In vari modi. La maggioranza era travolta dal mito del comunismo, di Mao, di Che Guevara. Una minoranza esile ma non meno appassionata era schierata a destra, e si assumeva il compito ingrato di fronteggiare l’onda di sinistra che aveva sommerso quasi una intera generazione. Sergio faceva parte di questa minoranza piccola.
A Milano la lotta politica era particolarmente violenta. Quasi militarizzata. L’Università statale era completamente controllata dai giovani del movimento studentesco di Mario Capanna, che aveva un servizio d’ordine, cioè una frangia militare, formidabile. Poi però c’erano anche altri gruppi. Il più aggressivo era Avanguardia Operaia. Radunava studenti delle scuole e anche molti universitari. Il gruppetto che si mise in movimento quella sera del 13 marzo 1975 era composto da studenti di medicina. Tutti della buona borghesia. Erano in sette, c’era anche una ragazza. L’obiettivo era Sergio, ragazzetto esile, con tanti capelli un po’ riccioluti in testa, idee chiare, di destra, che difendeva coi denti. Non aveva paura ad esporsi. Forse nemmeno lui immaginava il grado di ferocia che si sarebbe potuta scatenare contro la sua figura di adolescente, poco più che bambino. Tornava a casa con il “Ciao”. Un motorino molto in voga in quegli anni. Era conosciuto a scuola come militante del fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Msi il cui presidente nazionale, qualche anno dopo, sarebbe diventato Gianfranco Fini. Parcheggiò il motorino sotto casa e scattò l’aggressione. Gli furono addosso in sette, lui cercò di scappare, inciampò, lo gettarono a terra e picchiarono furiosamente con le chiavi inglesi. Erano armi letali. La famosa 32, lunga più di un metro, pesantissima, di acciaio.
Gli spaccarono la testa, poi scapparono via. Missione compiuta. Sergio fu soccorso da un passante, lo portarono a casa dai genitori. Poi in ospedale. Giorni di agonia. Morì il 29 aprile, mentre sotto le finestre dell’ospedale sfilavano ancora le manifestazioni rosse, dopo il 25 aprile, prima del primo maggio. Gli aggressori furono identificati 10 anni dopo. Confessarono. Erano diventati illustri medici e professionisti. Fecero alcuni anni di carcere. Non molti. Parte civile era Ignazio La Russa, che fu molto indulgente, su richiesta della famiglia di Sergio. Fu esemplare il comportamento della famiglia di Sergio. E ora, siccome un sottosegretario del governo Meloni, Paola Frassinetti, andrà a celebrare i 48 anni della aggressione, proprio nella scuola dove Sergio studiava - istituto Molinari- , l’Anpi ha aperto una polemica. Sostiene che «I lavoratori delle scuole di Milano credono sia importante denunciare un fatto così grave visto che la commemorazione della morte di Ramelli è strumentalizzata dai partiti post-fascisti per la loro propaganda politica ed è ancora più grave che ciò possa avvenire in una scuola pubblica da parte di un membro del Governo».
In sostanza, celebrando Ramelli, non si compie una azione antifascista e si fa il gioco della destra! Sono senza parole. C’è da inorridire per la posizione dell’Anpi. Il cinismo, le ferocia. È un caduto fascista e basta? È stato ucciso un ragazzino, capito? Strappato alla vita, ai genitori, a chi l’amava. Sì, era di destra e allora? Non meritava di vivere? Io trovo persino che non sia giusto dire: «Bisogna condannare le violenze senza distinzioni». Senza distinzioni sì.Ma facendo i nomi. E io, quando si realizza, condanno la violenza fascista. Ma poi condanno anche, e la chiamo per nome, la violenza antifascista. Si chiama così, mettetelo in testa: violenza antifascista. E in alcuni casi, come questo, è una vergogna per il Paese. Di solito si parla di doppiopesismo, quando una parte politica plaude alla lettera antifascita di una preside e poi polemizza con l’iniziativa della sottosegretaria che celebra Ramelli. Stavolta no. Non è doppiopesismo. È barbarie. Barbarie bella e buona.
Il bilancio delle devastanti inondazioni causate dalla tempesta che ha colpito il Texas centrale sale ad almeno 51 morti. Ventisette i dispersi.Il dato ufficiale fornito dalle autorità parla ancora di 43 vittime ed è probabile aumenti nella zona più colpita della contea di Kerr. Sempre le autorità sabato in una conferenza stampa hanno dichiarato che 15 delle vittime erano bambini. Il governatore Greg Abbott ha promesso che le squadre avrebbero lavorato 24 ore su 24 per soccorrere e recuperare le vittime. Ancora da ufficializzare il numero delle persone disperse, a parte 27 bambine che si trovavano in un campo estivo femminile.