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Migranti, "tetto massimo": promessa Ue, ma non illudiamoci

di Mirko Molteni domenica 28 maggio 2023

3' di lettura

Nella frenesia di trovare una soluzione all’immigrazione incontrollata, senza lasciare i singoli stati abbandonati a se stessi, e senza nemmeno alimentare le spaccature fra i membri, è spuntata nella serata di ieri l’ipotesi di un “sistema di quote immigrati” per ogni nazione dell’Unione Europea. Come noto, la presidenza Ue, che attualmente spetta di turno alla Svezia, sta cercando di arrivare a un compromesso fra i Paesi, come l’Italia e in genere quelli del Mediterraneo, che sono in prima linea sul fronte degli sbarchi, e quei paesi, del Nord e Nordest del continente, che essendo lontani dalle frontiere meridionali, non vogliono sobbarcarsi migranti altrui. Ieri sono apparse sulle agenzie di stampa anticipazioni sul piano migranti in fase di dibattito.

Il tempo per trovare la quadra è poco. Il piano andrà perfezionato e infine presentato l’8 giugno al Consiglio Ue degli Affari Interni, che si terrà in Lussemburgo, e dovrà incontrare il favore della Commissione e del Parlamento Ue. Alla Svezia preme chiudere tutta la partita entro inizio luglio, per la fine del suo semestre, ma forse più per motivi d’immagine. Dalle indiscrezioni di «fonti diplomatiche» s’è appreso che fra i vari principi basilari dell’accordo si sta discutendo su una formula che stabilisca quanti immigrati si debba tenere ognuna delle 27 nazioni UE. Si parla di una «formula calcolata sulla base di dati oggettivi e condivisi», intuibilmente superficie territoriale, densità abitativa e PIL, per stabilire la «capacità adeguata» di ogni Paese nell'ospitare i migranti, nonché l’applicazione delle «procedure di frontiera» d'identificazione.

FLUSSI DA REGOLARE
Il meccanismo delle quote, declinato in base ai flussi, verrebbe integrato da un «tetto annuale». Ma, se da un lato le regole a cui si lavora dovrebbero avere lo scopo di far attivare «interventi di solidarietà obbligatoria», di fatto l’U ha già fatto sapere che non ci saranno ricollocamenti obbligatori. Spiegano da Bruxelles: «I ricollocamenti non saranno mai resi obbligatori, benché siano previsti tra le misure di solidarietà insieme a contributi finanziari e ad altri interventi». La presidenza svedese intenderebbe rendere «obbligatorio il principio di solidarietà», ma non singoli interventi pratici. Pare un’acrobazia verbale volta a far digerire la pillola ai paesi più refrattari come la Polonia. Il governo di Varsavia aveva già espresso la sua contrarietà ai ricollocamenti su Twitter.

Inoltre, il rappresentante permanente polacco presso l’Ue, Andrzej Sados, ha rafforzato la prospettiva rimarcando che il suo Paese ha accolto finora un milione di rifugiati ucraini a fronte di 200 milioni di euro forniti dall’UE per assisterli, in pratica 200 euro a rifugiato. Come dire: «La Polonia ha già dato, grazie!». Ma l’Ue considera, come forma di solidarietà obbligata, di far pagare una sorta di multa di 22.000 euro per ogni immigrato che un paese membro si rifiuta d’accettare. Insomma, nessun obbligo di redistribuzione, ma chi non li vuole, paghi. Già venerdì la ministra svedese per la Migrazioni, Maria Stenergard, aveva negato ricollocamenti forzati, proprio per tenersi buona la Polonia, già in campagna elettorale guardando alle elezioni di novembre.

DISCUSSIONE
Per l’Ue «il principio è ancora oggetto di discussione», tanto che «nulla è deciso sinché tutto è deciso». Una dichiarata presa di coscienza sulle condizioni particolari dei paesi Med5, ovvero Italia, Cipro, Grecia, Malta e Spagna, dovrebbe tranquillizzare Roma, ma la “bomba” Tunisia seguita a preoccupare. Ieri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, intervistato al Festival dell’Economia di Trento, ha spiegato: «La Tunisia è un paese che sta svolgendo un ruolo importante per frenare i trafficanti e limitare le partenze. Credo che dall’inizio dell’anno abbia fatto almeno 20mila recuperi di persone con attività di controllo sulle coste e anche sulla terraferma». Le anticipazioni del piano Ue dicono che «si deve tenere conto della particolare posizione geografica degli Stati membri di frontiera». A parole, non basta e resta il timore che la presidenza svedese voglia solo affrettarsi a produrre entro la fine del suo mandato un documento di cui fregiarsi, documento che, per non scontentare nessuno, rischi di essere poco incisivo. 

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