«Bavaglio». È stata questa ieri la parola più gettonata dai pm e dai loro giornali di riferimento che contestano le scelte del governo in materia di politica giudiziaria ispirate, per la prima volta nella storia, a principi “liberali” e “garantisti”. Nel mirino, in particolare, la nuova disciplina per la pubblicazione delle intercettazione telefoniche. Per il pm romano Eugenio Albamonte, segretario nazionale della corrente di sinistra Area ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, la disposizione avrebbe lo scopo di «frenare l'informazione».
«Una riforma che limita il diritto dell’opinione pubblica di conoscere fatti oggetto dei procedimenti», aggiunge Albamonte intervistato dal Corriere, affermando che i problemi sarebbero «stati risolti» con l’entrata in vigore della riforma delle intercettazioni voluta dall’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando». Il Fatto Quotidiano, invece, tira fuori una serie di casi che sarebbero stati svelati grazie alle intercettazioni. Primo fra tutti il caso Palamara. «Se la nuova legge varata dal governo di Giorgia Meloni fosse stata già in vigore», scrivono i segugi del Fatto, «non avremmo conosciuto le manovre messe in atto da politici e consiglieri del Csm, guidati da Palamara, per influire sulle nomine dei procuratori. È l’ormai noto scandalo che ha colpito al cuore il mondo delle toghe».
I FATTI REALI
Una balla clamorosa. Vale la pena ricordare che le intercettazioni dell’inchiesta della Procura di Perugia nei confronti di Palamara e ieri nuovamente pubblicate sul Fatto, furono pubblicate la prima volta dal Corriere, da Repubblica e dal Messaggero a partire dal 29 maggio 2019 a ritmo quotidiano laddove però dette intercettazioni non erano state depositate ai difensori, risultando pervenute al Csm soltanto il 3 giugno successivo. La pubblicazione di quelle intercettazione determinò le dimissioni di cinque consiglieri del Csm, non indagati, che si erano incontrati con Palamara per ragioni del tutto estranee all’indagine, facendo saltare anche la nomina di Marcello Viola a procuratore di Roma. Che quella pubblicazione fosse un reato, rivelazione del segreto d’ufficio, lo ha scritto nei mesi scorsi il gip di Firenze Sara Farini, in risposta ad una denuncia presentata sul punto dallo stesso Palamara. «Sussiste senza dubbio il fumus commissi delicti del reato in iscrizione, considerata la circostanza non controversa alla luce della documentazione prodotta dal denunciante e dalla scansione temporale dei fatti riferita in querela - della pubblicazione su varie testate giornalistiche di notizie ancora coperte da segreto investigativo», si legge nel provvedimento della giudice fiorentina. La riforma Nordio, dunque, non c’entra un bel niente.
Già oggi il codice prevede che «è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto e fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare». «È sempre vietato la pubblicazione anche parziale del contenuto delle intercettazioni non acquisite», prosegue la norma. Il problema sono le sanzioni. Infatti, chi pubblica «in tutto o in parte anche per riassunto atti o documenti di un procedimento penale di cui sia vietata la pubblicazione è punito con l'ammenda da euro 51 ad euro 258». Meno del divieto di sosta. Il “paletto” di Nordio consiste solo nell’aver vietato la pubblicazione di ciò che «non è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento».
Cosa significa? Che se il giudice ha ritenuto di non prendere in esame delle intercettazioni, evidente esse non sono di interesse ai fini del processo. Ed essendo le intercettazioni mezzo di ricerca di prova e non di valutazione della morale o dell’etica, è giusto che non siano pubblicate. La norma vieta anche di indicare «i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione». Il terzo, per il solo fatto di essere stato citato dai soggetti oggetti dell’attività intercettiva non vedrà il proprio nome finire sui giornali. Una disposizione di assoluto buon senso. Dalle parti del Fatto, comunque, possono dormire sonni tranquilli. Rileggendo sempre il provvedimento della giudice Farini a proposito della violazione del segreto riguardo la pubblicazione delle intercettazioni del caso Palamara, si scopre che «ad oggi non risultano compiuti atti di indagine volti quantomeno a circoscrivere la platea di soggetti che possono essere venuti in contatto con le notizie segrete indebitamente propalate all’esterno della Procura della Repubblica di Perugia».