Erano i nostri eroi, ma adesso li portiamo in tribunale. Una, due, 35.600 volte all’anno: però di cause pendenti ce ne sono circa 300mila, il che vuol dire che, per derimerle tutte, i giudici dovrebbero trattarne 821 al giorno e non basterebbe un anno intero. Manco se bisesto. E, tra l’altro, il 97% dei casi penali finisce con un nulla di fatto, cioè col proscioglimento secco: così, intanto, i costi esorbitanti della giustizia li paga Pantalone. Cioè lo Stato, cioè noi contribuenti. I medici. I dottori, i chirurghi, i professionisti della salute: passati repentinamente nell’arco di due anni dall’essere i nostri “angeli del Covid” (fotografati col segno delle mascherine sulla faccia e in chiusi in corsia ventiquattrore su ventiquattro) a incarnare una delle categorie più citate, denunciate, querelate di sempre. Giusto per avere il polso della situazione: se digiti su Google le parole “colpa medica”, che di questo stiamo parlando, le prime dieci voci che ti compaiono sono sponsorizzazioni e suggerimenti per «richiedere un risarcimento». Che ci sarà pure chi sbaglia, nessuno lo nega, come avviene in qualsiasi professione, ci sarà anche chi fa il furbo: ma adesso sta diventando un business, più che una legittima procedura di garanzia.
Per questo, all’università Statale di Milano, ieri mattina l’Omceomi (che è l’ordine provinciale milanese dei camici bianchi) e la Fnmceo (la sua Federazione nazionale) hanno promosso un incontro con tanto di dati e statistiche sul fenomeno: chè non ne possono più, loro, e pure giustamente, di aver a che fare con avvocati e legali e difensori alla bisogna. Specie in Lombardia e nel Lazio, dove si concentra oltre la metà dei processi intentati. Non che il problema degli errori in sala operatoria non esista, ci mancherebbe: in quasi 700mila casi riguarda un’infezione correlata all’assistenza sanitaria che si trasforma in decesso del paziente l’1% delle volte (ossia contiamo 7mila morti). Sembrano numeri impressionanti, probabilmente lo sono, però dobbiamo tenere a mente che ogni anno, in Italia, vengono operati più di quattro milioni di pazienti (dati del 2015): e comunque le cifre sono in diminuzione.
Solo che l’altro lato della medaglia, che poi è quello del portafoglio, è che la cosiddetta “medicina difensiva” (della serie: la prescrizione di visite ed esami e test che non sono strettamente necessari, ma vai a vedere che non si sa mai e meglio avere le spalle coperte) ci presenta, ogni santissimo anno, una fattura che oscilla intorno al dieci miliardi di euro, il 10% della spesa sanitaria nazionale e lo 0,75% del Pil. Hai detto niente.
Fosse solo quello. Fosse solo un problema economico. È che, semmai, diventa un cortocircuito nei servizi: perché allora gli ospedali s’intasano (più o meno inutilmente), le liste d’attesa s’allungano (a dismisura), i tempi si dilatano (nello stesso modo) e tu resti lì, che magari ce l’hai per d’avvero, un’urgenza, ma è tutto prenotato, tutto coperto. C’è posto solo a novembre. Il ministro della giustizia Carlo Nordio, a marzo, ha istituito una commissione nazionale sulla colpa medica, che a oggi è guidata e coordinata dal procuratore della repubblica di Venezia Adelchi d’Ippolito: «L’obiettivo non è certo l’impunità», dice proprio Ippolito che punta a terminare i lavori del suo team entro l’aprile del 2024, «ma individuare un perfetto punto di equilibrio tra la piena tutela del paziente e la serenità del medico». Due cose, non serve grande immaginazione per rendersene conto, che sono strettamente legate.
«Noi oggi veleggiamo al ritmo di circa due o tre esposti al giorno, ne riceviamo una decina alla settimana», aggiunge Carlo Rossi, il presidente dell’ordine dei medici di Milano, «è un numero folle. E rispetto alla pre-pandemia abbiamo un cambiamento radicale dell’atteggiamento: c’è molta più aggressività, con un aumento di quattro volte rispetto al passato». Per dire. Recentemente anche il ministro della Sanità Orazio Schillaci si è espresso a favore della depenalizzazione (che non fa rima con immunità, sia chiaro) e di una revisione in senso più “protettivo" della legge Gelli - Bianco del 2017 (quella che riforma, appunto, la responsabilità medica). «Serve una protezione maggiore», conclude Rossi, «perché agire sulla complessità è l’agire quotidiano del medico, non un’eccezione». E spesso, guarda un po’, ci salvano pure la pelle.
Il bilancio delle devastanti inondazioni causate dalla tempesta che ha colpito il Texas centrale sale ad almeno 51 morti. Ventisette i dispersi.Il dato ufficiale fornito dalle autorità parla ancora di 43 vittime ed è probabile aumenti nella zona più colpita della contea di Kerr. Sempre le autorità sabato in una conferenza stampa hanno dichiarato che 15 delle vittime erano bambini. Il governatore Greg Abbott ha promesso che le squadre avrebbero lavorato 24 ore su 24 per soccorrere e recuperare le vittime. Ancora da ufficializzare il numero delle persone disperse, a parte 27 bambine che si trovavano in un campo estivo femminile.