L’arena del combattimento tra Elon Musk e Mark Zuckerberg è ancora ignota, ma in compenso sappiamo già in quale teatro si consumerà lo scontro politico più cruento di domenica 9 giugno 2024, quando si decideranno le sorti di Elly Schlein e si capiranno molte cose importanti sulla tenuta del governo: l’Emilia -Romagna. Per tre buoni motivi, almeno. Il primo, il più ovvio, è che la segretaria del Pd è da lì che viene: bolognese d’adozione, ex vicepresidente della giunta regionale ed assessore al patto per il clima, eccetera. Alle elezioni europee non può permettersi di prendere una batosta in casa; dovesse accadere, addio Elly e brodini ideologici multigender: il partito sceglierebbe un altro leader da cui farsi guidare alle elezioni regionali emiliano -romagnole e toscane del 2025, perse le quali si aprirebbe l’abisso, e alle elezioni politiche.
La seconda ragione è che al Pd, ormai, non è rimasto molto altro. La fotografia scattata dall’Istituto Cattaneo di Bologna all’indomani del 25 settembre è impietosa: «Da un punto di vista territoriale, la Zona rossa è l’unica delle vecchie zone politiche italiane a resistere, anche se a fatica. Le roccaforti del Pd restano quelle dell’Italia centrale (in particolare la Toscana, l’Emilia-Romagna il Nord delle Marche e dell’Umbria), anche se con percentuali ancora più basse che nel 2018». Alle Europee del 2019 il Partito democratico aveva preso in Emilia-Romagna il 31,2%, quota che alle ultime Politiche è scesa al 28,1. Lo attende una guerra di trincea. Il terzo motivo è che, nella stessa regione, il Pd che la guida (è una delle quattro che gli sono rimaste) e il governo nazionale sono divisi dalle responsabilità sui ristori non ancora erogati alle popolazioni e sulla mancata ricostruzione nelle zone colpite dall’alluvione. Sarà questo il grande tema della campana elettorale: anzi, lo è già. Se sembra duro lo scambio di accuse tra Stefano Bonaccini e Giorgia Meloni culminato nella lettera inviata dalla premier al governatore, aspettiamo di vedere ciò che succederà quando (si spera molto in là) ricominceranno le piogge e si scoprirà che ci sono ancora strade da liberare dalle frane e opere necessarie da costruire. Tutto fa credere che il peggio debba ancora venire.
L’OFFERTA RESPINTA
Lo sa pure la Schlein, che proprio per questo ha deciso di mettere le mani avanti e ri fiutare l’offerta di collaborazione avanzata dalla Meloni. La sfida per riportare l’Emilia-Romagna alla normalità è «certa mente impegnativa» e deve es sere superata «lavorando tutti nella stessa direzione», ha scritto la premier al governatore, porgendogli un ramoscello d’ulivo. La risposta gliel’ha da ta la segretaria del Pd in un’intervista apparsa ieri su Repubblica, nella quale alza il livello dello scontro, annunciando di essere pronta aduna «mobilitazione» contro il governo sull’alluvione. «Meloni si è precipitata con gli stivali nel fango, ma di fatto queste terre so no abbandonate», insiste. «E se i cantieri non partono in estate, è un grave danno alla prevenzione». Quest’ultima cosa è vera. Anche se la Schlein, che per contrastare il governo ora fa fronte comune con Bonaccini, si guarda bene dal dire dove ricadono le colpe principali: sugli uffici del governatore, gli stessi che non avevano saputo prendersi cura del territorio nel modo dovuto. La presidente del consiglio, oltre a ricordare ciò che il governo ha fatto e quello che ha messo in cantiere, ha elencato nella lettera alcuni errori e inadempienze della Regione. Una lista lunga eppure incompleta, proprio perché lo scopo era mettere le cose in chiaro e andare avanti, non aprire uno scontro frontale, come invece ha deciso di fare la Schlein.
Gli uffici di Bonaccini, scrive la Meloni, non hanno ancora inviato al governo la «richiesta di anticipazione e la necessaria delimitazione» per liquidare le somme promesse ad alcune categorie, inclusi gli agricoltori ai quali l’esecutivo ha destinato 50 milioni di euro per le prime urgenze. E da Bologna nemmeno hanno trasmesso «i dati relativi alla cura e manutenzione» del territorio colpito dall’inondazione, «indispensabili per verificare quale fosse la situazione di cura e sicurezza idrogeologica prima dell’alluvione». A Francesco Paolo Figliuolo, commissario perla ricostruzione, la Regione non ha ancora inviato le «stime precise e dettagliate», ricavate dalle perizie fatte dai privati, «che consentano una corretta quantificazione dei danni e quindi dell’adeguato fabbisogno finanziario da stanziare». E sempre alle strutture di Bonaccini si deve «l’errata perimetrazione delle zone alluvionate trasmessa dalla Regione al governo», che ha costretto l’esecutivo ed il parlamento a fare una correzione legislativa in corsa. Prima di accusare il governo per ciò che non è stato fatto, insomma, Bonaccini dovrebbe rimediare alle tante mancanze dei suoi. Ha scelto un’altra strada, d’intesa con la Schlein: quella dello scaricabarile e dello scontro politico. Creando così una cortina fumogena che copre ogni responsabilità e non lascia presagire nulla di buono per gli emiliano-romagnoli.