Prevenire è meglio che carcerare. La condanna al gabbio di due minorenni a Torino (una sedicenne e un quindicenne per tentato omicidio) è ciò che il cosiddetto «Decreto Caivano» del governo dovrebbe appunto mirare a evitare – questo almeno l’auspicio – e non, viceversa, incentivare, non accentuare per numero ed entità delle pene: qui l’equivoco. La condanna dei due minorenni resta una sconfitta educativa e rieducativa dello Stato, e il primo a saperlo è il giudice che lo Stato rappresenta e che ha emesso la sentenza. D’impulso si potrà dire che «giustizia è fatta», ma servirà a poco, come dimostrano altri episodi di malavita minorile di cui si ha notizia in queste ore. La condanna a quasi 7 anni e a 9 anni è una sconfitta anzitutto rieducativa perché sappiamo tutti che l’articolo 27 della Costituzione resta una chimera («le pene devono tendere alla rieducazione del condannato») e che, bene che vada, si abbrevierà la detenzione in coloro che avranno dato segni di ravvedimento: ma non è escluso che i ragazzi tra qualche anno escano comunque disorientati, spersi tra i cento treni che avranno perso, peggio ancora istruiti da quell’università del crimine che il carcere rappresenta ancora.
È una sconfitta educativa, pure, perché nulla in passato si è evidentemente frapposto tra le loro adolescenze precoci e il mondo criminale degli adulti, culturalmente e mediaticamente mitizzato: non un controllo sociale o la cosiddetta «assistenza», non la scuola che non è uno strumento di polizia, non i genitori – qualche volta semplicemente irresponsabili, talvolta complici - e non una riprovazione ambientale da parte di chi li circonda. È su questo che punta il Decreto, nelle intenzioni: e questo è il senso del «daspo urbano», del ritiro dei cellulari, dell’interdizione dal frequentare delle zone in cui il crimine faccia «status» o altre zone appetibili per la micro-criminalità in quanto centrali, benestanti, palestra di apprendistato per scippi e risse e vandalismi. È questo il senso della norma che punisca seriamente quei tanti, troppi disgraziati genitori che non mandano nemmeno i figli alla scuola dell’obbligo, accusabili di «elusione» o addirittura «elusione assoluta» nel caso la prole non risulti neppure iscritta in un istituto scolastico. Non più, quindi, una ridicola multa di trenta euro, bensì una pena sino a due anni, che – opinione personale – sono anche pochi, perché i genitori non rischieranno mai il carcere, mentre a rischiarlo, «istruendosi» nelle favelas delle metropoli, potrebbero essere i loro figli. Molti fingono di dimenticarlo: «il carcere per i minori» esiste da sempre ed è il carcere minorile, e quando ne esci, spesso, finisce che non sei rieducato ma pronto per una promozione al grado successivo.
Uno dei condannati ha preso 9 anni ed è maggiorenne da pochissimo: per lui la promozione è assicurata. Il reato è odioso quanto stupido: hanno gettato da una balaustra una bicicletta che ha travolto degli adolescenti tra i quali uno che non tornerà mai più come prima, ed tutt’ora in ospedale. Il padre del ragazzo ha fatto un commento che potrebbe suonare a introduzione del decreto, in teoria: «Spero che i ragazzi, la collettività, le baby gang si rendano conto che con la vita non si può giocare, che capiscano che quando si sbaglia si rischia seriamente». Il punto è proprio questo: sembra che non se ne rendano molto conto, o che, peggio, approfittino di quella zona penalmente franca che l’età minore rappresenta. Gli adolescenti che fanno i piccoli spacciatori – scelti proprio perché adolescenti, ossia minori– oggi vengono lasciati andare e ciao: per questo si vuole estendere anche alle scuole, alle università e alle aree limitrofe un divieto di avvicinamento. Per questo si vuole introdurre un nuovo tipo di ammonimento che scatti tra i 12 e i 14 anni, con annesso obbligo di firma in questura due volte a settimana. Per questo, in certi casi, si vogliono rendere punibili pur blandamente i genitori. Il resto – fondi per fronteggiare il degrado di Caivano, nuovo personale il controllo del territorio – attiene all’ordine pubblico e cioè alle ragioni per cui in alcune zone del Paese i ragazzini vengono reclutati dalla criminalità mentre in alte zone no, con annessi episodi di prostituzione minorile e organizzazioni di para-stato criminale che assiste i delinquenti. Il resto è lasciare che il destino passi da un soave impunità assoluta alle mani di un giudice penale e ai suoi chiari di luna. Prevenire è meglio che carcerare, dicevamo.