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Sette nuove maschere in tv per la propaganda anti-Israele

di Daniele Capezzone sabato 28 ottobre 2023

Elena Basile

5' di lettura

Se non parlassimo di cose gravi, anzi letteralmente terribili, ci sarebbe perfino motivo per sorridere davanti agli sforzi sovrumani e alla fantasia pirotecnica con cui i più scatenati avversari politici e mediatici di Israele si stanno impegnando per costruirsi un ruolo, una parte in commedia, una dramatis persona. 

Si badi bene: prim’ancora degli argomenti da usare, ciò che conta, per questi inesauribili registi -autori -sceneggiatori -agenti di se stessi, è disegnarsi una maschera riconoscibile, un profilo facilmente identificabile, qualcosa che possa accompagnarli nelle comparsate tv delle prossime settimane. Perché- questo è chiaro a tutti- finché c’è guerra c’è speranza (di ospitata). E così nuove “figure professionali” avanzano.

La prima è un grande classico, un evergreen: il tormentato, l’uomo dal volto scavato dalla sofferenza (altrui), l’editorialista o l’ex inviato che entra in scena dopo un filmato drammatico e butta lì, neanche fosse al bar del paese al terzo vermouth, un ispiratissimo e malinconico “questa è la guerra...”. E così ogni problema è magicamente risolto: la guerra è brutta (ma guarda un po’: invece da casa pensavano forse che fosse bellissima?), e non c’è più nemmeno il piccolo fastidio di dover distinguere l’esercito regolare di un paese democratico da un gruppo di tagliagole. La seconda maschera è quella - ormai mitologica- del “complessista”. Tu gli hai appena fatto vedere cose atrocemente chiare (bimbi sgozzati e decapitati, irruzione di terroristi in case private, stupri sistematici), e lui che fa? Con fronte aggrottata, ti spiega che la situazione è “complessa”, che non si può semplificare, che occorre contestualizzare-collocare -decodificare. Naturalmente, come ogni macchietta che si rispetti, il “complessista” ha assoluto bisogno di una spalla: un altro ospite che faccia “sì sì” con la testa, un conduttore che lo prenda sul serio, un regista che eviti di inquadrare qualcun altro che ridacchia mentre lui spara cazzate. La magia inevitabilmente svanirebbe.

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La terza parte in commedia è quella del “dialogante”. Qualunque atrocità sia accaduta, qualsiasi atto terroristico o disumano sia appena stato raccontato, lui (lei) accusa gli altri di essere guerrafondai (in questo autunno -inverno va alla grande, come un soprabito leggero, la formula “furia bellicista”), scarica sugli altri l’ombra della “vendetta”, e, nello smarrimento momentaneo degli avversari, ottiene qualche secondo di silenzio per calare il suo jolly: la proposta di un “tavolo”. Pure qui i complici sono decisivi: guai se c’è un ospite sveglio che si inserisce al volo per dire «scusa, e il tavolo con chi lo fai, con gli sgozzatori di bambini?». L’ideale invece è un conduttore -amico che si affretti a chiudere la discussione chiamando la provvidenziale pubblicità. Il quarto mostro della galleria è quello che deve sempre “capire meglio”. Durante l’assedio russo, a Bucha, dopo un’orrida strage, c’era ad esempio chi non capiva mai: non gli bastavano le testimonian ze dei superstiti; non gli bastavano le im magini dei fotoreporter; non gli bastava no i reportage degli inviati; non gli basta vano le foto satellitari; non gli bastavano nemmeno le intercettazioni dei soldati russi. Serviva sempre qualcosa in più, calcisticamente parlando una specie di chiamata del Var, il classico “lo voglio rivedere” pronunciato dal telecronista dubbioso e dalla sua seconda voce dopo un con tatto in area di rigore. Il format - ormai collaudatissimo - ha conosciuto nuova fortuna rispetto all’ospedale di Gaza: pu re qui una valanga di elementi tali da in chiodare Hamas alle sue responsabilità non sono bastati. Meglio offuscare -con fondere -annebbiare: così magari c’è ancora modo di incolpare Israele.

La quinta figura professionale, determinante per incasinare la discussione, è il superesperto (non importa se acclarato o autonominato) delle vertenze territoriali israelopalestinesi (almeno) dal 1948 a oggi. La formula “due popoli due Stati” diventa una specie di giaculatoria, un “ora pro nobis” sussurrato dopo un’adeguata invocazione. Naturalmente pure qui occorre assolutamente che non ci sia in studio un contraddittore insidioso, uno che possa smontare la favoletta spiegando che oggi nessun terrorista di Hamas avanza pretese territoriali. Quelli di Hamas vo gliono solo uccidere gli ebrei. Ripeto se non fosse chiaro: uccidere gli ebrei. Ma evidentemente un’obiezione di questo tipo creerebbe imbarazzo all’”esperto”. La sesta maschera è il nostalgico di Putin, una specie di reduce del conflitto russo -ucraino che- nella distrazione generale - butti lì frasi del tipo: «Adesso è necessaria la mediazione di Putin» oppure «non ci è servito a nulla isolare Mosca».

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Naturalmente un soggetto del genere è perfettamente impermeabile alla realtà: il fatto che una delegazione di Hamas sia stata ricevuta a Mosca con tutti gli onori non gli mette il dubbio che Putin sia pure stavolta dalla parte dei cattivi. E invece no: i cattivi siamo sempre noi occidentali, si capisce. Quello che non si capisce è come mai però tutti questi inesausti adoratori di Putin stiano sempre qua, anziché raggiungere la terra promessa, e cioè Mosca. Si può pensare che la combo “aperitivo in centro” e “ospitata tv” sia per loro decisamente più sexy di un inverno in territorio russo: ma, se l’avete pensato, siete sicuramente dei servi del capitalismo globale e del pensiero unico occidentale, vi spiegherebbero loro.
Resta un’ultima drammatica maschera da descrivere, e qui si entra nel delicatissimo territorio-Orsini, nel senso dell’ineffabile prof che imperversa sul Fatto e in tv.

E qual è la tragedia di Orsini? Elementare, Watson: nuovi personaggi lo stanno insidiando-scavalcando-impallando, a cominciare dalla stella nascente Elena Basile, l’ex ambasciatore che, rispetto a Orsini, offre il plus di una maggiore freschezza, nel senso che è appena entrata in scena e tende a spararla più grossa di lui. E allora che fa Orsini? Rilancia, alza la posta, eleva l’asticella. Eccolo ieri in un post sulla pagina Facebook a lui intitolata: «Lo Stato d’Israele, come dimostra l’evidenza empirica, è lo Stato più violento e sanguinario del mondo». E ancora: «Da una parte condanno con tutte le mie forze quella cosa orrenda che è Hamas; dall’altra, tifo affinché Hamas e Hezbollah minaccino di sferrare un attacco devastante contro Israele perché questo è l’unico modo di frenare il massacro che lo Stato d’Israele sta conducendo contro i bambini palestinesi». Gran finale: «In un mondo giusto, qualcuno abbatterebbe tutti gli aerei d’Israele. Se avessi i poteri magici, è la prima cosa che farei». È tutto, sigla, sipario. Ma non si ride più: perché quello che avete letto tra virgolette non è uno scherzo. È ciò che Orsini propone e propina. Auguri a noi tutti.

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