Certe cose non bisogna dirle, solo a pensarle ci si imbarazza, poi appaiono davanti in tutta la loro evidenza e allora ti dai ragione da solo, aspettando che se ne accorga qualcun altro. Lunedì ha debuttato su Rai1 La Storia, serie tratta dal celeberrimo romanzo di Elsa Morante cinquant’anni dopo la sua pubblicazione. Un buon prodotto davvero, che alla Rai riesce bene di muoversi sul canone tradizionale: bella l’ambientazione nei quartieri romani, la luce sabbiosa, la prova degli attori con Jasmine Trinca molto matura, anche se certi sguardi, certe angolature del viso, ricordano quelle di un’altra Morante, ovvero Laura. Qualcosa si perde, la scrittura sontuosa e barocca, qualcosa si appiattisce, perché il linguaggio televisivo è necessariamente diverso da quello letterario, ma stiamo parlando nel complesso di un prodotto superiore alla media. Si è detto e scritto che La Storia è soprattutto la vicenda di Ida Ramundo, nell’Italia dal 1938 al dopoguerra: certo, è lei la protagonista assoluta, però qui si inserisce (ed è l’aspetto più interessante e sorprendente della serie) un sottotesto cui non avevamo pensato e chissà se ci hanno pensato la regista Francesca Archibugi e gli sceneggiatori, tra cui figura Francesco Piccolo.
LA FORZA DEL GRUPPO
Prendiamo Nino, diciassettenne figlio di Ida. Ha perso la guida del padre morto in guerra, è bello, esuberante, nessuna voglia di studiare e tanta di stare con gli amici per caricarsi a vicenda, arrogante ma affettuosissimo. Per Nino (Francesco Zegna) il fascismo rappresenta una scelta di gioventù, una forma di socializzazione comunitaria, sedotto come tanti altri dal desiderio di appartenenza al gruppo e non importa se le frasi, i proclami, non hanno alcun senso perché da giovani non ci si interroga sulle cose, si aderisce alle cause per estremo romanticismo e senza raziocinio. Partito per il fronte, lasciati a Roma la mamma e il fratellino Useppe nato da una violenza sessuale, a cui è legatissimo, Nino torna senza camicia nera, il nuovo Nino ha legato al collo un fazzoletto rosso. Qualcosa è accaduto, anzi accadrà nel prossimo episodio, il ragazzo non è più fascista, sente l’odore della sconfitta e a diciassette anni nessuno vuole essere un perdente. Il nuovo Nino è un partigiano, stessa esuberanza, stessa bellezza eroica, stessa arroganza e stesso affetto per le persone cui tiene. Che cosa significa diventare comunisti non se lo chiede affatto, non si domanda del perché, ha attraversato un fiume senza sapere chi ci fosse sull’altra riva, è lo stesso ragazzo romantico che non può fare a meno della logica del gruppo, non leva più il braccio ma alza il pugno chiuso. I suoi comportamenti non cambiano, anzi si somigliano come gocce d’acqua, perché diventare fascisti o comunisti in fondo è davvero la stessa cosa, il più delle volte frutto di assolute coincidenze.
INVENZIONE DELLA GIOVENTÙ
Un noto studioso del mondo punk e alternativo, Jon Savage, ha parlato dell’«invenzione della gioventù» proprio sotto i regimi totalitari che promettono un mondo nuovo, un’unione di corpo e anima, una difesa della propria identità, concetti attorno ai quali i ragazzi si aggregano come attorno ai colori delle proprie bandiere allo stadio. Stare da una parte o dall’altra è spesso figlio del caso, un ragazzo come Nino non conosce le ideologie, non è al corrente delle storture e degli abusi, si guarda intorno, vede altri ragazzi come lui ed è felice, alle adunate in piazza o clandestino in mezzo alle montagne. Non ha avuto il tempo di interrogarsi su quale sia la scelta giusta, il suo linguaggio, la sua capacità di apprendere le cose è sempre la stessa, istintiva, di pancia, vuole essere come i suoi amici e non distinguersi dagli altri e la mamma che gli intima di essere cauto rappresenta solo il freno della maturità di contro alla giovinezza. Questa versione de La Storia ci sta dicendo qualcosa di davvero importante, rosso e nero hanno la stessa matrice, originano dallo stesso desiderio, dall’impulsività, dall’impeto. Il ragionamento arriva dopo, semmai, quando sarà giunto il tempo di diventare tutti moderati. La versione tv del romanzo dice questo ed è una forma eretica di lettura della storia, perché ci hanno sempre fatto credere che l’uno fosse meglio dell’altro, il rosso si e il nero no, e invece sono davvero la stessa cosa, anche se nel nostro mondo certe cose si possono fare e altre no.