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Mario Sechi: le Europee passano da Tzia Nannedda

di Mario Sechi giovedì 22 febbraio 2024

5' di lettura

Il governo Meloni ha l’orizzonte della legislatura, la maggioranza in Parlamento tiene bene e non si è mai divisa sui temi che contano. Il voto europeo pone il problema della competizione tra alleati, del tutti contro tutti, perché nel sistema proporzionale sono liberi tutti, ma anche questo scenario è un déjà-vu.

Ogni elezione ha una storia singolare e irripetibile, il fatto nuovo dall’inizio della legislatura è l’attesa per il risultato del voto della Sardegna. Piaccia o meno, è la prova generale di una sfida inedita, quella tra due donne, Giorgia e Elly. Non solo, è anche la prova di Meloni e Schlein nel confronto interno con gli alleati, le correnti, gli apparati. Il voto sardo cela una battaglia sotterranea di due leadership, Meloni deve confermare lo stato di grazia, Schlein deve sventare il soffocamento in corso delle correnti del Pd.

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Il valore simbolico della sfida è chiaro, non sarà un cataclisma, ma lo scossone si sentirà. Lo scenario razionale dice che il centrodestra ha la strada spianata per la vittoria, perché il centrosinistra si è diviso e la presentazione della lista di Renato Soru, ex presidente progressista della Regione, rompe lo schema del “campo largo” tra Partito democratico e Cinque Stelle che in Sardegna ha portato alla candidatura della pentastellata Alessandra Todde.

Il primo dato storico da guardare è quello delle elezioni politiche del 2022, allora il centrodestra alla Camera in Sardegna conquistò il 40,5% dei voti, il centrosinistra si presentò diviso, la mini -coalizione guidata dal Pd prese il 27,0% dei consensi e il Movimento Cinque Stelle il 21,8%, il totale è pari al 48,8%. La scelta di unirsi per le regionali è logica, quello che ha scombinato le carte è la candidatura di Soru. Quanti voti prenderà?

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Grande dilemma, ma qualcosa porterà a casa e sarà meno fieno in cascina per il centrosinistra. Il secondo dato storico da tenere bene a mente è quello delle elezioni regionali del 2019. Sì, è lo scenario politico di un secolo fa, non c’era il fenomeno di Giorgia Meloni e la Lega di Salvini era un partito con il vento in poppa, ma non sono questi i punti d’attacco dell’analisi, ai fini del nostro ragionamento sul voto di domenica sono importanti tre numeri: il primo è il risultato del Partito Sardo d’Azione (9,8%); il secondo è la somma di altre formazioni locali di tradizione autonomista (13,57%); il terzo è il totale delle liste (11) schierate con il centrodestra che allora candidò e portò alla vittoria il sardista Christian Solinas. Sono numeri che solo parzialmente rivelano quanto la mappa del voto sardo sia polverizzata, influenzata da fattori culturali profondi, rivalità di clan familiari (esplose anche nel centrosinistra con la clamorosa spaccatura nella famiglia Soru, la separazione tra padre e figlia) e “disamistade” politica, inimicizia e faida del voto.

Il voto sardo sembra aperto per ragioni concrete e nello stesso tempo insondabili, la variabile Soru non decide tutto, perché dipende dalle scelte dei cagliaritani sul sindaco Truzzu (la soddisfazione o meno dei cittadini), dalla disponibilità dei sassaresi a votare un cagliaritano, dai nuoresi che fanno sempre storia a parte, dalla dimenticata Sassari che qualcosa vuol sempre contare, da Oristano dove i voti si spostano come la transumanza, dall’indisponibilità a votare o meno una grillina da parte degli elettori meno inquieti e nello stesso tempo dalla disponibilità a votare Todde con il reddito di cittadinanza in testa.

E non bisogna mai dimenticare il portafoglio, la scatola magica delle promesse per masse in cerca di reddito, secondo Bankitalia “le famiglie sarde beneficiarie del Reddito di cittadinanza o della Pensione di cittadinanza ad agosto del 2023 erano circa 33.000, pari al 4,5 per cento di quelle residenti (6,9 nel Mezzogiorno e 3,4 in Italia), in diminuzione di circa un quinto rispetto a un anno prima”.

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Vista la congiunzione degli astri, il voto nell’isola è diventato una corsa all’americana per due motivi: il primo, è che per vincere devi coltivare la macchiavellica Fortuna, dunque lavorare sodo e studiare i particolari, il secondo è che se vinci ci sarà una spinta verso il voto europeo. Cominciamo dai dettagli, i particolari, “sa bidda”, il paese nel quale ci si addentra per bussare alle porte e chiedere il voto è una giungla dove il dettaglio è tutto: la via e il numero civico (questa e non quella porta; abita a fianco di... o di fronte a...; non suonare il campanello, chiama; entra dal cortile e parla o tziu Giuanni prende la doppietta); poi c’è il quartiere (qui non hanno l’acqua tutto il giorno d’estate e là sono tutti contadini; qui non sbagliare, sono tutti pescatori; e qui sono tutti disoccupati e incazzati, fai alla svelta); fondamentale è il soggetto che risolve i problemi e no, non è il sindaco, è il Mister Wolf del posto che in realtà è sempre una donna, perché la Sardegna è una società matriarcale (qui comanda tzia Nannedda; qui è meglio chiedere a tzia Boricca; passiamo a salutare “sa meri”, la padrona, Franziska).

Armarsi di bussola culturale è questione di sopravvivenza, Nord e Sud qui sono Sassari e Cagliari, due mondi che si guardano con superiorità antropo-politica reciproca. I sassaresi hanno una tradizione grandiosa con due presidenti della Repubblica e l’ultimo leader carismatico del Pci, Enrico Berlinguer; i cagliaritani vantano la potenza del capoluogo, la storia dell’antica Karalis, la città “Belle Époque” del grande sindaco Ottone Bacaredda, un impero di famiglie centriste, liberali, democristiane, berlusconiane (e vedremo se saranno anche meloniane); Nuoro è un impero delle lettere e dell’arte, era “l’Atene sarda” con il premio Nobel di Grazia Deledda, la poesia di “Pippieddu” Sebastiano Satta, la penna fatata del giurista-scrittore Salvatore Satta, le sculture di Francesco Ciusa e i dipinti di Antonio Ballero; Oristano è terra di Eleonora d’Arborea, di Giganti di Mont’e Prama, di mitologiche ricerche d’Atlantide, pozzi sacri, archeologia e astronomia, peschiere, bottarga, grano e carciofi.

Qui prima di raccogliere voti devi studiare il popolo. E quando pensi di aver tutte le carte sul tavolo, scoprirai che bisogna conoscere il dominus della Chiesa, perché il parroco del paese, “su vicariu”, sa sempre qualcosa che agli altri sfugge (il potere della preghiera e del confessionale) e insieme alla stazione dei Carabinieri è un punto di riferimento per sapere, per capire, per mietitrebbiare voti. Quante complicazioni, in fondo la combinazione è già scritta. Vince Truzzu? Ha vinto Giorgia. Perde Truzzu? Ha perso Meloni. Vince Todde? Ha vinto Schlein. Perde Todde? Ha perso Schlein. Poi ci sono le subordinate, i calcoli interni, li vedremo lunedì. Dato certo: il pareggio è impossibile. Francesco Cossiga, vantando la sua nobile ‘sassaresità’ e dileggiando la mia nascita nella laguna di Cabras esposta alle invasioni dei Saraceni (eccola, la mappa della cultura) mi ricordava sempre: “La Sardegna è un laboratorio politico”. Chiunque vinca, il voto confermerà la lezione del Presidente.

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