Cerca
Logo
Cerca
+

Silvia Stucchi: perché non conosciamo più l'italiano

Esplora:

Silvia Stucchi
  • a
  • a
  • a

Qualche mese fa il Presidente dell’Accademia della Crusca ha scritto al Rettore dell’Università di Bologna, l’Alma Mater Studiorum, la più antica del mondo, e alla Ministra dell’Università, Anna Maria Bernini: l’appello era rivolto contro la decisione dell’ateneo di abolire il corso di laurea in italiano di Economia del Turismo presso la sede di Rimini, e di mantenerlo soltanto in lingua inglese. Sia chiaro: nessuno discute la necessità di aumentare, in Italia, la conoscenza dell’inglese, ormai indispensabile in tutti i campi, anche nella ricerca scientifica, dato che le riviste più prestigiose, in campo medico, matematico, fisico, economico, parlano inglese. Però, affermano i sottoscrittori dell’appello, «la progressiva eliminazione dell’italiano dall’insegnamento universitario (come pure dalla ricerca) in vista di un futuro monolinguismo inglese costituisce (...) un grave rischio per la sopravvivenza dell’italiano come lingua di cultura, anzitutto, ma anche come lingua tout court, una volta privata di settori fondamentali come i linguaggi tecnici e settoriali».

I CUGINI FRANCESI
Che l’Italia sia tendenzialmente affetta da esterofilia, è risaputo; ma forse non tutti sanno che i cugini d’Oltralpe hanno pensato già cinque secoli fa a tutelare la loro lingua nazionale: risale infatti al 1539 l’Ordonnance de Villers-Cotterêt con cui Francesco I impone che la lingua degli atti amministrativi e della giustizia sia il francese e non più il latino.

Ma, al di là dei provvedimenti legislativi, sussiste un problema reale: perché abbiamo smesso di scrivere in italiano? Se tra gli obiettivi dei corsi di laurea triennale, di ogni ambito, c’è, come si ricordava sopra, fare in modo che gli studenti padroneggino pienamente l’italiano, in molti casi, è esperienza di ogni docente, il livello di padronanza della lingua materna dei neo-diplomati è paurosamente in calo; anzi, diciamo pure che si rileva un crollo deciso nelle loro competenze: i dati PISA e OCSE parlano chiaro, e no, non è colpa solo “del Covid” e della dad. Il problema viene da molto lontano: la pandemia ha solo accelerato e amplificato quello che ogni insegnante vede e riscontra tra studenti di ogni età: lessico ridotto, scarso dominio della sintassi, competenze di lettura e scrittura in picchiata, e prove scritte spesso traballanti. Non per nulla alcuni atenei da anni hanno attivato corsi di italiano (per studenti italiani, si capisce), che insegnano - o provano a insegnare - a strutturare un testo corretto e coeso, per tentare di passare conoscenze e competenze necessarie a elaborare la tesi.

Il verbo “provare” è d’obbligo perché se a scrivere si impara, a vent’anni è certo più difficile che non a dodici o a tredici. Per tornare ancora all’esempio dei cugini francesi, il primo ministro Gabriel Attal (classe 1989), con uno degli ultimi atti da Ministro uscente dell’Educazione Nazionale, di fronte al calo significativo delle prestazioni degli studenti francesi in matematica, comprensione del testo e scienze, rivelato dal rapporto OCSE Pisa 2022, ha proposto, suscitando grandi dibattiti, di rendere più rigoroso l’esame di terza media, e di fare sì che diventi prerequisito indispensabile per l’accesso al liceo: il che costituirebbe una novità, dato che circa il 10% degli studenti francesi non supera l’esame, ma può comunque iscriversi al liceo.

Con che risultati è facile immaginarlo. Altro cambiamento radicale proposto riguarda la scuola media: in particolare, le classi prime, nelle quali gli studenti hanno ancora un’età tale per cui si può incidere significativamente nella loro metodologia di studio, saranno divise in tre livelli, a seconda delle competenze in francese e matematica, sulla base di un “test di posizionamento” somministrato a inizio anno scolastico. E in Italia? Chiunque, docente o genitore, è consapevole del netto calo delle competenze medie di lettura e scrittura degli studenti, che a volte arrivano al liceo senza aver mai letto un libro per intero (succede ...), e senza saper consultare l’indice di un libro di testo (succede, succede...). Da docente, però, non mi sentirei di incolpare soltanto “i social”, e la scrittura abbreviata che furoreggia su queste piattaforme di comunicazione: adeguare il registro comunicativo al mezzo, anzi, è una competenza che andrebbe sviluppata, e che è difficilmente acquisibile, lo dimostrano i post pubblicati da adulti, per giunta caratterizzati da una grammatica fieramente zoppicante.

Certo, non aiuta il fatto che all’innalzamento dell’obbligo scolastico non abbia fatto seguito il mantenimento di un certo livello nella richiesta di risultati: in questo senso, forse, è stata deleteria l’abolizione dell’esame alla fine della scuola primaria. Non certo perché i maestri siano sadici e amino bocciare (le percentuali di non ammessi alla secondaria di primo grado erano sempre prossime allo zero), ma perché forse non è stata una buona idea rimandare ai quattordici anni, alla fine della secondaria di primo grado (la scuola media, per intenderci), il primo vero esame, ovvero il necessario e formativo incontro con momenti di valutazione globale della propria preparazione.Non solo: sicuramente i docenti delle scuole secondarie di primo grado si trovano di fronte a una realtà spesso difficile, in cui è necessario passare alle classi competenze anche civiche; tuttavia, mi sentirei di soffermarmi su un punto: molti adolescenti arrivano alla secondaria di II grado dopo aver affrontato alle scuole medie lo studio della letteratura italiana, Dante, Boccaccio, Manzoni, Foscolo e Leopardi.

LE PROPOSTE
Tuttavia, spesso, come è naturale, le competenze degli studenti devono ancora consolidarsi e la lettura autonoma dei testi (già difficile ai diciotto anni) è assolutamente difficoltosa. Al contrario, chi ha frequentato le scuole medie nei decenni passati, come la sottoscritta, ricorda di aver pressoché ignorato - e con ragione - il disegno storico della letteratura italiana, ma di aver lavorato molto su analisi logica, del periodo, esercizi di scrittura, comprensione del testo (su antologie che riportavano una grande quantità di testi accessibili a dei dodici-quattordicenni): così, per esempio, pur avendo una pressoché perfetta ignoranza delle opere di Dante e Foscolo, una volta arrivata al liceo classico non avevo avuto difficoltà per affrontare lo studio del greco e del latino.
Come invece si può pretendere che degli adolescenti che non sanno distinguere con sicurezza le voci attive e passive dei verbi, le congiunzioni dalle preposizioni, traducano dal latino, o, più in generale, imparino con sicurezza una lingua straniera, sia essa l’inglese, il tedesco o lo spagnolo? In questo senso, forse, non sarebbe male riportare già lo studio del latino alle scuole secondarie di primo grado, come già si sta ventilando, non più come semplice opzione: non certo per formare legioni di piccoli latinisti, ma con la funzione di educazione linguistica e di acquisizione di un metodo di studio rigoroso.

Dai blog