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Sandro Iacometti: la banca Usa dà la sveglia agli ecofolli

di Sandro Iacometti sabato 20 aprile 2024

3' di lettura

Bella, ma impossibile. La transizione ecologica non è sbagliata, è semplicemente irrealizzabile. Almeno ai ritmi di marcia immaginati dalle istituzioni internazionali. A riportare tutti con i piedi per terra, smascherando la componente ideologica di un ambientalismo che con le sue vagonate di buone intenzioni rischia di portare l’Occidente all’inferno, ci ha pensato non il solito negazionista climatico che vuole avvelenare il pianeta fregandosene del futuro, ma una delle più grandi banche mondiali come JPMorgan, abituata a prestare attenzione ai fatti più che ai sogni. Intendiamoci, il fulmine non arriva a ciel sereno. Inizialmente preda dell’euforia ecologista, come la finanza di mezzo mondo, il colosso del credito guidato dal vecchio volpone di Jamie Dimon già da qualche tempo aveva fatto capire di voler abbandonare il sentiero arcobaleno che porta ad Asgard (regno leggendario del mitico Thor, per chi non conoscesse gli eroi della Marvel o la mitologia del Nord Europa) per quello ben più concreto che passa in mezzo all’andamento dell’economia mondiale e ai conflitti in atto.

Un paio di mesi fa, accompagnata da altri giganti del calibro di Blackrock e State Street Global Advisor, ha deciso di lasciare la grande alleanza Climate Action 100+ (oltre 700 investitori istituzionali e asset totali per circa 68mila miliardi di dollari), che impone ai suoi membri di spingere le aziende partecipate a comportamenti sempre più virtuosi sul fronte ambientale. Ora la banca Usa torna sul luogo del delitto con un rapporto interno che invoca un «reality check», un bagno di realtò, sulle ambizioni legate all’abbandono dei combustibili fossili attraverso l’incremento delle fonti rinnovabili. Secondo Christian Malek, responsabile della strategia energetica globale di JPMorgan e principale autore dello studio inviato ai clienti, per ottenere gli obiettivi di zero emissioni nette potrebbero essere necessari non anni, ma intere generazioni. Le argomentazioni di Malek, malgrado la loro portata rivoluzionaria, sono quasi banali.

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Il fatto è, ha spiegato al Financial Times, che gli sforzi per ridurre l’uso di carbone, petrolio e gas sono stati ostacolati dall’aumento dei tassi d’interesse, dall’inflazione e dalle guerre in Ucraina e in Medio Oriente. Fattori che non possono essere ignorati. «Anche se l’obiettivo dello zero netto delle emissioni è ancora lontano», spiega Malek, «dobbiamo affrontare la realtà e prendere atto che le variabili sono cambiate. I tassi di interesse sono molto più alti. Il debito pubblico è significativamente maggiore e il panorama geopolitico è strutturalmente diverso. I 3-4 trilioni di dollari che costerà ogni anno si collocano in un contesto macroeconomico diverso».

Nel suo rapporto, JPMorgan sostiene che il cambiamento del sistema energetico mondiale «è un processo che dovrebbe essere misurato in decenni, o generazioni, non in anni». E ha aggiunto che gli investimenti nelle energie rinnovabili «offrono attualmente rendimenti inferiori alla media», spiegando che se i prezzi dell’energia aumentassero fortemente, ci sarebbe addirittura il rischio di disordini sociali. Il rapporto è arrivato dopo che le compagnie petrolifere, tra cui Shell e BP, hanno ridotto i loro obiettivi climatici quest’anno e centinaia di altre società, tra cui Microsoft, Unilever e JBS, non sono riuscite a fissare obiettivi sufficientemente ambiziosi da essere approvati dall’iniziativa Science Based Targets, un organismo di convalida istituito dopo il vertice sul clima COP26 delle Nazioni Unite a Glasgow. Gran parte del ragionamento ruota intorno alle previsioni della domanda di energia e alla possibilità di riuscire a soddisfarla senza l’aiuto dei combustibili fossili.

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Secondo Malek non è affatto garantito che la domanda di petrolio e gas raggiunga il picco nel 2030, come previsto dall’Agenzia internazionale per l’energia, poiché le popolazioni dei paesi in via di sviluppo inizieranno ad acquistare più automobili e a prendere più voli. Il rapporto prevede che il mondo avrà bisogno di 108 milioni di barili di petrolio al giorno nel 2030 e che la costruzione di una maggiore capacità di energia eolica, solare e di veicoli elettrici potrebbe addirittura aggiungere altri 2 milioni di barili giornalieri a questo totale. La sostanza, conclude Malek, è che «siamo a un punto di svolta in termini di domanda. Sempre più parti del mondo hanno accesso all'energia e una percentuale maggiore desidera utilizzare quell'energia per migliorare il proprio tenore di vita. Se questa crescita continua, metterà un’enorme pressione sui sistemi energetici e sui governi». Il quesito finale è abbastanza chiaro: vogliamo migliorare il nostro tenore di vita oggi, nel mondo reale, o migliorarlo chissà quando in un Paese dove vivono il Bianconiglio e la Regina di Cuori? 

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