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Sognavo Gettysburg, on the road sui luoghi della guerra civile Usa

Miccichè intrecciando storia, cinema e letteratura ci conduce sui campi di battaglia del conflitto che divise gli States
di Marco Respinti venerdì 19 dicembre 2025

4' di lettura

Tre anni e 13 giorni prima Abraham Lincoln era stato eletto alla Casa Bianca ed era stata una bomba, deflagrata in una guerra incivile (1861-1865). Il 19 novembre 1863 Lincoln arrivò in Pennsylvania sul campo dove fra il primo e il tre luglio si era combattuta una delle battaglie più sanguinose, decisive: Gettysburg. Più di 50mila morti. Splendeva il Sole, ma faceva freddo. All’inaugurazione del Cimitero dei soldati il presidente che aveva diviso il Paese cercò di riunirlo. Parlò due minuti: 271 parole raggruppate in 10 frasi con cui invece rifece gli Stati Uniti. Sì, perché il Discorso di Gettysburg è considerato un nuovo inizio. La vecchia repubblica veniva sepolta assieme ai suoi caduti per dare corso all’America che conosciamo oggi. Famose le parole con cui Lincoln sintetizzò la democrazia: «un governo del popolo, dal popolo, per il popolo»; contestate quelle con cui sancì la vera rivoluzione americana: «una nuova nazione, concepita nella libertà e votata al principio che tutti gli uomini sono creati uguali». Per molti avrebbe infatti dovuto dire il contrario: una nazione concepita nel principio che tutti gli uomini sono creati uguali e votata alla libertà, al pari della Dichiarazione d’indipendenza del 1776. Si temeva (e teme), cioè, lo scadere della pari dignità umana in egualitarismo giacobin-socialista e la riduzione della libertà a vago concetto illuminista denegato nella realtà politica. Fu nella riunificazione di Gettysburg che il Paese si divise nuovamente.

Questo prologo spiega Sognavo Gettysburg. Viaggi sui campi di battaglia della Guerra Civile Americana, il mosaico di scene raccolte lungo tracciati fisici e culturali a cui Carlo Miccichè ha dato forma di libro per i tipi della milanese Ares. Dirigente televisivo, Miccichè è da decenni un «produttore di contenuti» (come si dice oggi) e soprattutto si occupa di adattare la letteratura allo schermo. Stregato dalla figura dell’imperatore dei francesi (a cui nel 2022 ha dedicatoEssere Napoleone, ripubblicato quest’anno in versione ampliata), persino collezionista del piccolo «grande còrso», invece della California dei figli dei fiori di un tempo Miccichè ha sempre agognato i campi ingrigiti dalle cannonate e l’aria irrespirabile degli scontri fra Unionisti e Confederati finché non lo ha fatto davvero, ricavandone veri «quadri di un’esposizione», per dirla con Modest Petrovic Musorgskij. Ovvero una carrellata di suggestioni ed emozioni che cuciono assieme, in un ordito originale, stoffe tanto diverse quanto lo sono storia militare e cinema, letteratura e tanto altro.

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Recensire questo libro impressionista, fatto essenzialmente di sensazioni palpabili, tracce da seguire e persino turbamenti, recensirlo senza spoilerarlo è impossibile. Occorre leggerlo per davvero, e persino chi in quest’epoca di decadenza prova orrore alla pagina scritta ne trarrà vibrazioni e calore pur se entrasse in sala a film iniziato, aprendo la rilegatura del libro a casaccio per iniziare così, fuori sintassi, uno qualsiasi dei suoi capitoli. Chi della Guerra “civile” americana nulla sa, verrà catturato dalla parola che si fa immagine. Chi un poco ne ha invece letto, o ha persino marciato con i «sudisti», che so, ad Antietam in Maryland (altro teatro bellico mostruoso evocato da Miccichè) durante una di quelle rievocazioni storiche con centinaia di figuranti e regia impeccabile di cui gli americani son maestri, sussulterà di pathos e gioia a vedere che certi nomi celebri ma scordati non sono consumati dal nulla. Clara Barton, l’«angelo del campo di battaglia», che fondò la Croce Rossa nel mezzo del disastro bellico.

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Lo storico milanese Raimondo Luraghi che persino gli USA ci invidiano (partigiano e redattore a Torino de l’Unità, seppe, tra l’altro, liberare il Sud dei «sudisti» dalle zavorre delle interpretazioni marxiste). La penna vetriolica di Ambrose Bierce (geniale creatore di aforismi che “non morì”, ma nel 1914 scomparve a Chihuahua in Messico senza lasciar traccia). E, fra le molte citate, tre pellicole che nessuno dovrebbe negarsi: Il texano dagli occhi di ghiaccio (1976), dove Clint Eastwood instilla nella nostra mente finalmente un po’ di verità su «indiani» e «sudisti», e due portenti quali Cavalcando col diavolo di Ang Lee (1999) e Gods and Generals di Ronald F. Maxwell (2003). In questo libro non mancano il treno e quel bianco-e-nero che esalta la fotografia: «E infatti, il treno e la ferrovia sono ancora oggi lì, nel cuore della cittadina, e a vedere la stazione sembra che il tempo non sia passato». È Manassas, borgo della Virginia teatro di una ennesima battaglia: con i particolari veduti e toccati Miccichè affresca tempi andati ma non completamente trascorsi. Il mestiere dello storico non è raccontare il passato, ma renderlo odierno. Così fa l’autore di Sognavo Gettysburg.

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