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Jobs Act, al Senato fiducia per Renzi: 165 sì, nel Pd non votano Mineo e Casson

Giulio Bucchi
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Il governo ottiene la fiducia sul Jobs Act al Senato: 165 voti favorevoli, 111 contrari e 2 astenuti. Non hanno partecipato al voto i "dissidenti" del Pd Corradino Mineo e Felice Casson, in parziale "rottura" con il fronte degli altri 34 ribelli che alla fine hanno scelto di confermare la fiducia al premier Matteo Renzi. E uno schiaffo alla linea imposta dal segretario-presidente del Consiglio è venuto da un altro senatore ribelle del Pd, Walter Tocci, che ha rassegnato le proprie dimissioni. Segno che al Nazareno il dissenso c'è ed ancora forte, nonostante l'esecutivo tenti di sedarla a colpi di fiducia. Rissa e insulti al Senato - Una giornata lunghissima, a Palazzo Madama, con tensione alle stelle, risse, insulti, fuoriprogramma decisamente umilianti per tutta la politica italiana. In mattinata la contestazione dei senatori grillini e sospensione della seduta subito dopo l'intervento del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che doveva presentare in Aula il testo dell'esecutivo. Nel pomeriggio succede di tutto, con grillini e leghisti che occupano i banchi del governo, tirano monetine e libri all'indirizzo del presidente Pietro Grasso e una rissa scatenatasi a sorpresa tra i banchi della sinistra, con la vendoliana De Petris che ha ferito accidentalmente al polso la dem Fattorini. Cosa cambia sull'articolo 18 - "Sono sceneggiate, non politica", ha commentato da Milano lo stesso Renzi che incassa il sì al Jobs Act e al superamento dell'articolo 18 ma che vede rinviati alla Camera i nodi fondamentali, soprattutto riguardo al reintegro. Reintegro che, come annunciato da Poletti, resta per i neo-assunti soltanto nei casi di licenziamento discriminatorio o per gravi motivi disciplinari. "Siamo andati sulla piattaforma della destra, favorisce recessione e disoccupazione", è la critica del dem Stefano Fassina. Per Paolo Romani di Forza Italia, che ha votato contro, la riforma non è né carne né pesce, incerta sia sull'articolo 18 sia sui co.co.pro: "Norme troppo generiche, lascia aperte tutte le strade alla legge delega", accusa il senatore azzurro. E la palla ora torna in mano a Renzi.  

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