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Su tagli e aperture estivela Boldrini ci prende in giro

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Si vanta di non chiudere la Camera ad agosto per il decreto sul femminicidio, ma è un obbligo di legge. E gli interventi sulle paghe dei dipendenti sono una burla

Fausto Carioti
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In casa Boldrini è tempo di spot a buon mercato (per lei). Ieri la presidente della Camera ha annunciato che il decreto contro il femminicidio, appena varato dal governo, sarà presentato in aula subito dopo il 20 agosto. L'immagine che ne esce è quella di una fustigatrice della casta parlamentare, pronta a richiamare i deputati dalle vacanze per farli lavorare sotto il solleone al provvedimento in favore delle donne. La realtà, però, è molto più banale. L'apertura dell'aula è imposta dall'articolo 77 della Costituzione, che fissa in cinque giorni il tempo massimo per convocare la Camera da cui parte l'iter parlamentare. E il conteggio inizia dalla data di pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale, prevista per il 18 o il 19. Sarà comunque una seduta rapidissima: «Non più di cinque minuti», garantiscono da Montecitorio. Il tempo di assegnare il decreto alle commissioni competenti e la cosa sarà finita. I deputati presenti si conteranno sulle dita di una mano: tanto rumore per nulla. L'altra passerella pubblicitaria di Laura Boldrini è stata l'annuncio fatto venerdì e pubblicato sul sito di Montecitorio con il surreale titolo: «Nuovi risparmi, maggiore trasparenza. Va avanti la politica di sobrietà e rigore». In realtà l'unica cosa che va avanti è il Bengodi dei dipendenti del Parlamento. I piani iniziali del segretario generale della Camera Ugo Zampetti e del Comitato per gli affari del personale, guidato dalla vicepresidente della Camera Marina Sereni (Pd), comportavano tagli molto più consistenti. Ma la montagna ha partorito il topolino. Si tratta dei «primi interventi sul trattamento del personale di Montecitorio», ha annunciato con tono trionfale la Boldrini. Si spera davvero che ne seguano altri. L'intervento (perché di uno solo si tratta) è consistito nella riduzione dell'indennità di funzione «dal 70 per cento per gli incarichi di vertice al 30 per cento per i ruoli di coordinamento inferiori». Solo una voce secondaria della busta paga, dunque, è stata toccata. Il risultato complessivo vale «un milione di euro l'anno». Tanto? No, pochissimo. Per capirlo basta fare il raffronto con la spesa prevista nel bilancio della Camera del 2013 alla sola voce «Retribuzioni del personale» (e cioè senza tenere conto dei contributi previdenziali, delle imposte sul lavoro e degli assegni di pensione): la cifra è di 231.140.000 euro. Di fronte alla quale un milione rappresenta appena lo 0,43%: a tanto ammonta dunque il taglio alle buste paga dei dipendenti sbandierato dalla Boldrini. A rendere la beffa ancora più evidente, il fatto che questa limatura sia solo temporanea: inizierà a settembre e si concluderà nel dicembre 2015. Condizione necessaria per far digerire la cosa agli undici sindacati dei dipendenti di Montecitorio. La presidente della Camera ha anche ricordato che nelle prime settimane della legislatura il bilancio della Camera era stato tagliato di altri 9 milioni, presi dai budget per gli stipendi della stessa Boldrini e di altri titolari di cariche interne, dalle spese di segreteria e dai contributi ai gruppi parlamentari. In tutto, dunque, sotto la sua presidenza, la Camera ha tagliato i costi di 10 milioni di euro. «Un approccio realistico, fattivo, concreto», ha detto la presidente. Quei 10 milioni vanno però rapportati al totale delle spese correnti di Montecitorio, fissate per il 2013 a quota 1.033.187.354 euro. Rispetto al quale 10 milioni rappresentano lo 0,97%. In realtà, solo alla voce «indennità di funzione», quella su cui c'è stato l'intervento, il piano iniziale di Zampetti prevedeva un risparmio annuo (permanente, non temporaneo...) di 1,5 milioni. Siccome questa voce è sottratta alla contrattazione con i sindacati, si immaginava di far adottare l'intervento direttamente dall'Ufficio di presidenza.  Non solo: allo studio del segretario generale della Camera c'erano anche un intervento sulle (inspiegabili) indennità di rischio. I ventitré «autisti parcheggiatori» di Montecitorio, ad esempio, sotto questa voce hanno in busta paga una cifra netta mensile che va dai 63,52 ai 108,97 euro. Il cassiere di Montecitorio, per il semplice fatto di toccare i soldi, riceve ogni mese una «indennità di maneggio» pari a 387,34 euro. Qui il risparmio annuo avrebbe dovuto essere di 300.000 euro. Altri 250.000 euro sarebbero arrivati dall'abolizione delle indennità di missione, e ulteriori 650.000 euro tramite il dimezzamento delle spese per le indennità di lavoro notturno e festivo. Tutte misure da contrattare con i sindacati, e che infatti non sono state adottate. Morale: il taglio complessivo alle indennità, che avrebbe dovuto essere di 2,7 milioni, è stato di appena un milione, per di più transitorio. Restano intanto nel cassetto delle buone intenzioni tutti gli altri progetti ai quali aveva studiato Zampetti, e che andavano ben al di là del maquillage all'indennità di funzione. Resta una progressione di stipendio senza eguali nel mondo del lavoro: un consigliere parlamentare appena assunto ha un reddito imponibile annuo di 64.815 euro, che cresce verticalmente per arrivare a 341.678 euro al trentacinquesimo anno di anzianità (e lo stesso criterio vale per le altre categorie). Resta il privilegio per cui i dipendenti della Camera, che già hanno più ferie degli altri lavoratori, possono aumentarle facendo gli straordinari e accantonarle a fine carriera, andando così in pensione (con lo stipendio a livello massimo) due o tre anni prima del previsto. Restano un mistero i singoli stipendi individuali dei dipendenti della Camera, che l'operazione «trasparenza» di cui si vanta la Boldrini si guarda bene dallo svelare.

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