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Luca Zaia intervistato da Senaldi: "I referendum di Veneto e Lombardia salveranno l'Italia"

Giulio Bucchi
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«I veneti fanno sul serio». Non è una minaccia e neppure una promessa ma una semplice constatazione quella del governatore Zaia, da sette anni alla guida della Regione. «Seguo Libero da quando ancora si chiamava Indipendente» scherza, «è un feeling naturale tra chi ha lo stesso spirito». E qui si arriva subito al punto: il referendum del 22 ottobre in Lombardia e Veneto per chiedere maggiore autonomia in realtà è un primo passo verso l' indipendenza e quindi la secessione? «Questo lo dice chi sostiene di voler difendere la Costituzione ma in realtà la ignora», taglia corto il governatore, «quello che chiediamo è vera autonomia, come previsto dall' articolo 116 della stessa Carta, che dà alle Regioni virtuose il diritto di trattare con lo Stato ampie forme di decentramento in ben 23 materie. Il referendum è propedeutico al federalismo». Governatore, getti la maschera: cosa si propone di ottenere con questo voto?  «Di dare voce ai veneti. Paròn a casa nostra, basta soldi a Roma e gli stessi diritti di Trento e Bolzano: sento questi tre mantra da quando ho iniziato a far politica. Dalle nostre parti lo dicono tutti, leghisti, forzisti, elettori del Pd e di M5S: il 22 ottobre è un' occasione irripetibile per passare dalle lamentele ai fatti. Chi vuole voti "Sì" o taccia per sempre». Ma nello specifico cosa chiede?  «Abbiamo un residuo fiscale di 19 miliardi, soldi che vanno allo Stato e che non ci ritornano, io mi propongo di trattenere in Veneto il 90% delle tasse, esattamente come fanno Trento e Bolzano: quello è il nostro modello, un' autonomia più spinta perfino di quella catalana, ma nell' alveo della Costituzione». Che cosa risponde a chi sostiene che i referendum lombardo-veneti spaccano l' Italia?  «Siamo un Paese borbonico che non capisce che lo Stato moderno è quello federale. Guardiamo agli Stati Uniti e alla Germania: i Paesi centripeti oggi sono quelli federalisti, perché il cittadino sente vicine le istituzioni, mentre il centralismo distrugge l' unità perché le persone non si sentono rappresentate». Però se il Veneto e la Lombardia, che stanno bene, si tengono il 90% dei soldi delle tasse viene meno il principio di solidarietà nazionale: le altre Regioni come fanno a sopravvivere?  «Non dovevano permettere ai veneti di fare i turisti. Da quando lo fanno, e vedono le devastazioni di certi luoghi del Sud e del Centro, il loro irredentismo ha avuto un sussulto. Tornano e pensano: "A chi vanno i nostri soldi? Come vengono impiegati? Meglio tenerceli per noi. Se lasciamo i soldi a chi li sa usare, alla fine ne traggono beneficio tutti. Se invece continuiamo a darli, come facciamo da settant' anni, a chi li mette in tasca senza investirli, ci impoveriamo tutti"». Però non mi ha spiegato dove finisce la solidarietà agli altri.  «Ridurre le catene che legano gli enti locali allo Stato e concentrare sul territorio la gestione delle risorse è un beneficio per tutti. Se anche le altre Regioni adottassero il modello veneto, si risparmierebbero 30 miliardi che potrebbero essere investiti nello sviluppo delle aree depresse. Le faccio un esempio: il Veneto gestisce la propria sanità, e infatti siamo in testa alle classifiche di qualità ed efficienza e arrivano da tutta Italia qui a curarsi. La scuola invece ce la gestisce lo Stato, di conseguenza l' anno è iniziato e ho classi senza professori, graduatorie non definitive e ogni genere di disagio». A proposito di sanità: sui vaccini le hanno fatto campagna contro per farle perdere il referendum o è lei che ha innescato la polemica per giocarsela elettoralmente?  «Il Veneto non è mai stato contro i vaccini. Io ho solo difeso il modello che abbiamo da dieci anni, concordato con milioni di cittadini, che non prevede l' obbligo di vaccino, come accade in Germania o Spagna. Ciò detto, siamo a favore dei vaccini, informiamo i genitori, siamo gli unici ad avere un' anagrafe informatica dei vaccini e a scrivere a casa per far mandare il bimbo a vaccinare. Solo lasciamo libertà, fintanto che i non vaccinati restano sotto una soglia di sicurezza, e questo fa sì che siamo tra le Regioni con più bambini vaccinati». Se avesse già l' autonomia non avrebbe avuto bisogno di scrivere la lettera a Gentiloni per chiedere poteri commissariali?  «Quella è un' altra vicenda incredibile: l' Italia non ha dei limiti ai composti chimici di perfluoro usati in campo industriale per rendere i prodotto impermeabili. Noi facciamo i controlli e verifichiamo che l' acqua potabile è contaminata e il governo risponde che il problema è solo nostro: ci credo, siamo i soli ad aver fatto le analisi. Ma sono inquinate anche le acque dell' Adda e dell' Arno...». Dicono che è un referendum inutile e solo politico, con l' unico scopo di tirare la volata alla Lega per le prossime elezioni.  «Eh no Non ho fatto l' errore di Renzi, non ho personalizzato il referendum e ringrazio anche Salvini per non averci messo sopra il cappello della Lega. Questo è un voto di tutti i veneti, infatti lo sostengono anche i Cinquestelle e autorevoli esponenti del Pd. Stiamo facendo una campagna rispettosa di tutte le idee. Non è stato Napolitano a dire che "l' autonomia è vera assunzione di responsabilità?". E allora perché averne paura?». Quindi si aspetta un plebiscito?  «L' affluenza non è una mia paturnia ma un' opportunità. Non azzardo percentuali, perché poi quello diventerebbe l' unità di misura del mio successo personale. Certo se i veneti diserteranno le urne, sarò io stesso a buttare via il referendum.È come in Catalogna: la forza di cambiare te la dà la gente prima della Costituzione. Se la piazza non è piena, la discussione è impossibile». A proposito, che idea si è fatto di quanto sta accadendo per il referendum in Catalogna?  «Mariano Rajoy è il premier spagnolo ma non è un leader. Ha perso un' occasione storica, un politico vero non avrebbe scelto la violenza ma avrebbe contrapposto la sua visione centralista alle richieste d' indipendenza giocandosela tutta sul confronto e sulla libertà: se impedisci il diritto di voto sei fuori dalla democrazia. Con il suo comportamento invece è diventato il miglior sponsor delle istanze indipendentiste catalane: impedire il voto induce alla ribellione». E l' Europa non ha nulla da dire.  «L' Europa è un' istituzione conservatrice, vuole mummificare i confini e le nazioni e quando i popoli avanzano legittime richieste identitarie li bolla come sovversivi. Ma non puoi derubricare a semplici rompiballe milioni e milioni di persone. Stavolta le cito Einaudi, che nel 1948 disse: "A ognuno l' autonomia che gli spetta". Io aggiungo: più Stato a chi vuole più Stato, meno a chi ne vuole meno». Come mai i veneti sono così antistatalisti?  «Ragioni che affondano nella storia della Serenissima. Da noi il 70% della popolazione ancora parla e pensa in lingua veneta, ed è un fenomeno trasversale, lo fanno tanto i professori universitari quanto i contadini». La storia della legge che impone la bandiera veneta in tutti gli uffici pubblici è una trovata elettorale?  «La diffido dal dire questo, è un punto del nostro programma di governo. Trovo questa vicenda vomitevole. Davvero il governo non aveva nulla di meglio da fare che impugnare questa legge? La bandiera veneta sventolava durante la battaglia di Lepanto, appartiene alla nostra storia. Noi non vogliamo sostituirla a quella italiana ma affiancarla. Non cerchiamo la rissa, anziché trattarci come una colonia rompiballe dell' impero, lo Stato avrebbe dovuto prendere la palla al balzo e mettere le bandiere delle Regioni in tutti gli uffici pubblici. Questo è federalismo». Come si spiega questa reazione?  «Hanno paura dell' identità, a Roma ormai basta sentire la parola "Veneto" per agitarsi. Sono tutti segnali di debolezza, sanno che qui da noi hanno perso la partita del consenso, lo spartiacque è mostruoso. La nostra Regione è quella che ha bocciato con il maggior numero di affluenza il referendum centralista del 4 dicembre di Renzi. Il poveretto dev' essere ancora sotto choc, ma non è che prima fosse meglio. In verità Renzi è come Rajoy: il referendum noi veneti volevamo farlo nel 2014 ma il suo governo lo impugnò davanti alla Consulta. Arrivare al voto del 22 è stato un percorso a ostacoli ma ora nessuno può contestarlo: altro che inutile e illegale». Cosa succederà il 23 ottobre in caso di vittoria dei Sì: si precipita a Roma a trattare con il governo?  «No, non mi interessano le foto opportunity, voglio fare tutto per bene visto che il voto è stato benedetto dalla Consulta. Il 23 riunisco la mia giunta e i miei costituzionalisti e presento il progetto autonomista all' Assemblea regionale veneta perché lo ratifichi. Poi vado a Roma a chiedere tutte le 23 autonomie che mi concede la Costituzione. Dal 23 ottobre, in Veneto si respirerà un' aria diversa, ci sarà un' altra coscienza civica». Allora vede che il voto non è solo questione di autonomia ma è una sorta di rivendicazione d' orgoglio della nazione veneta?  «Non è così. Se questo referendum si fosse tenuto vent' anni fa non sarebbe mai passato. Qui è proprio cambiata l' aria: siamo passati da un desiderio d' indipendenza nostalgico e irredentista, legato all' amarcord e alle vecchie generazioni, a un desiderio d' autonomia proiettato verso il futuro e il nuovo mondo, tant' è che i nostri ragazzi sono tutti per il Sì». Il 22 Belluno voterà per la propria autonomia provinciale: una secessione?  «Ma guardi che l' abbinamento l' ho voluto io. Rientra nel programma di devolution globale che ho in testa: spero che tutte le province venete seguano l' esempio bellunese». I referendum di Lombardia e Veneto sono il preludio alla macroregione del Nord?  «È evidente che queste due regioni hanno ormai una dimensione mitteleuropea più che mediterranea, però io credo, e mi auguro, che i referendum siano più che altro di stimolo alle altre Regioni perché ci imitino e lottino per la propria autonomia». Come mai risulta sempre tra i governatori più amati d' Italia?  «Perché sono autonomista Natura non facis saltus dicevano i latini: i sondaggi sono come le montagne russe, un giorno su l' altro giù, però della sostanza c' è». Anche questo è dovuto all' indomito orgoglio veneto?  «Io credo che sia dovuto essenzialmente al fatto che faccio quello che dico. E poi al mio stile di vita: da quando sono governatore, e prima ancora da presidente della provincia o da ministro, sono sempre rimasto con i piedi per terra. L' unico lusso che mi concedo è andare al Festival del Cinema di Venezia con mia moglie una volta l' anno, per il resto niente pranzi e cene ufficiali. Quando devo incontrare qualcuno per lavoro lo convoco in ufficio non al ristorante: lì ci vado con i famigliari e i miei amici, gli stessi da tutta la vita». I veneti apprezzano anche il fatto che lei parla solo della Regione e mai di politica in generale?  «Gli acrobati, nel senso di quelli che si muovono su diversi piani e tengono aperte tutte le porte, li ho sempre considerati degli sfigati, perché non fanno nulla bene. Io ho una formazione aziendale: finché sono presidente del Veneto quello è il mio oggetto sociale e solo a quello mi dedico». di Pietro Senaldi

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