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Massimo Cacciari a Libero: "Il Pd era nato già morto. Il fascismo? Non tornerà"

Davide Locano
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Massimo Cacciari è un sovranista di sinistra assalito dalla realtà. Già comunista, ex sindaco di Venezia («più temuto che amato», ironizza lui), filosofo compiutamente mitteleuropeo e nostalgico di una sinistra ancorata al popolo, perché «la storia insegna ancora qualcosa, porco demonio! Se abbandoni le politiche sociali, se volti le spalle al bisogno d' una base materiale di benessere, allora è chiaro che il ceto medio va in malora e si rivolgerà ai Salvini di turno e fortuna che non ci sono più i Mussolini!». Professor Cacciari, la sinistra è a pezzi e pure il Partito democratico non si sente tanto bene. «Non sono più iscritto al Pd dal mese dopo la sconfitta elettorale di Walter Veltroni (era 2008, il Pd era al suo debutto, ndr), si capiva fin da allora che quell' inizio era soltanto il prologo della fine. Non avevo alcuna necessità di restare lì a vedere da vicino come sarebbe andata a finire. Avevo già capito tutto». Nati per morire male. «Un pasticcio tra gruppi dirigenti pochissimo rappresentativi e privi di una reale volontà d' innovazione». Leggi anche: Da Lilli Gruber, lo schiaffone di Cacciari al Pd: definitivo Oggi, alla vigilia delle primarie e del congresso, al Pd gioverebbe la consulenza di un filosofo come lei? «Mi sono sempre collocato a sinistra ma oggi non mi interessa rimettermi in gioco, rifiuto l' attuale visione politica demagogica e plebiscitaria del Pd: ha condotto solo a disastri». Non pensa che servano idee nuove, oltreché nuovi leader? «Sono consapevole che fare politica è un lavoro collettivo e organizzativo, può emergere un' intelligenza ma i miei maestri ideali come Max Weber mi hanno insegnato che intelligenza e idealità non bastano. Le idee occorrono, sì, e possono avere un' influenza positiva. Ma non vedo alcun Machiavelli in circolazione». Di recente ha speso buone parole soltanto su Nicola Zingaretti, uno dei tre principali candidati alla segreteria insieme con Maurizio Martina e Marco Minniti. «Zingaretti è l' unico che negli ultimi anni si è differenziato da Matteo Renzi, lo ha fatto con coerenza e combattività, pur avendo anche lui limiti evidenti». Gli altri dirigenti sono tutti coinvolti nel fallimento renziano. «Tutti, tranne Gianni Cuperlo». Non sarebbe stato meglio se Renzi se ne fosse andato dal Pd subito dopo il referendum costituzionale? «L'ho predicato io per primo, ma invano: in Italia il divorzio è lecito, sarebbe stato meglio prendere atto dell' incompatibilità di Renzi e del suo progetto con le altre correnti. Sarebbe stato un civile e consensuale divorzio». E invece. «Invece oggi è più vicino non il divorzio, ma lo sfascio completo. È dal 2014-2015 che bisognava immaginare una forza renziana che s' incuneava nell' area di centro del centrodestra, mentre il Pd doveva competere a sinistra per scongiurare il diluvio elettorale dei Cinque stelle. I dirigenti del Pd hanno preferito sfasciare il bicchier d' acqua in cui nuotavano». Oggi il popolo della sinistra sta con i grillini? «L'elettorato di sinistra è ancora rappresentativo di una vasta area che prima s' identificava nel Pd e oggi continua a esistere nei Cinque stelle, perché sente che il Pd ha tradito il suo grave stato di sofferenza, non l' ha minimamente considerata. Ieri ero a Milano e ho visto almeno 200 ragazzi con sacco in spalla che consegnavano le pizze a domicilio. Renzi pensava che l' urgenza fosse riformare l' articolo 18, non aveva occhi per questo esercito di pesudo lavoratori dipendenti con redditi bassissimi. Se sei di sinistra queste cose le devi vedere, devi almeno parlarne». Non è che a sinistra del Pd le cose siano andate meglio. «La sinistra estrema, dai tempi dell' Ulivo fino a Leu, si è mostrata ideologica e strampalata, e con la sola vocazione a far perdere la sinistra moderata». Ma non è colpa di Renzi se tutta la sinistra europea è in crisi. «Certamente la base sociale tradizionale delle sinistre è smottata in Europa come in Italia». E come si riconquista questa base sociale tradizionale? «Bisogna attrezzarsi a ricostruire un' area che ritorni ai fondamentali, alla sua vocazione naturale: la difesa del lavoro dipendente in tutte le sue articolazioni. Non solo il lavoro salariato, ma tutto quel lavoro dipendente frantumato e senza rappresentanza. A questo esercito in dispersione bisogna dire: non ti ritrovo più tutto insieme in una fabbrica, ma ti riconosco egualmente». Occorre una robusta sensibilità sociale per fare tutto questo, altro che partito leggero. «Serve l' intelligenza culturale, la consapevolezza di avere ancora una missione decisiva. E bisogna allargare lo sguardo, riconoscere la necessità di operare in un contesto economico, finanziario, tecnico e scientifico nel quale dobbiamo ristabilire spazi di sovranità». Cacciari un sovranista? «Io sono un sovranista, è chiaro, ma se dico che voglio essere sovrano in casa mia faccio ridere. Ricostruire la dimensione della sovranità frantumata significa guardare all' Europa con un' idea imperiale comune. Se già l' Europa rischia di essere troppo leggera nello scenario globale, e se la Germania da sola vale solo il 3 per cento del pil mondiale, isolarci proprio noi italiani, in nome del sovranismo nazionalista, ci porterà alla rovina». Sta immaginando una specie di sovranismo europeo e di sinistra? «Una forza di sinistra ha il dovere di ricostruire passo passo livelli di sovranità nazionale ed europea. Ma per farlo deve recuperare la grande idea federalista sia a livello continentale sia a livello di Stato nazione. Se a livello planetario ci confronteremo su finanza, ambiente, immigrazione e sicurezza con il punto di vista degli starerelli, saremo presto spacciati». Soltanto in un' Europa unita, federale e con un pensiero imperiale potremo salvarci? «Altrimenti arriveremo alla guerra. Come accade quando non c' è un sovrano». All'Italia non basterebbe buttare meno soldi e creare un po' di lavoro in più? «In Italia dobbiamo tornare all' idea originaria di 30 anni fa: rivedere gli assetti istituzionali, sbarcare ministeri lontani da Roma, azzerare gli enti superflui, responsabilizzare le regioni: un autentico federalismo è la condizione necessaria». Sembrano le parole d' ordine della Lega di Bossi e Miglio. «Mi riferisco pure a quelle istanze, ma non rimpiango l' ispirazione secessionista di una Lega che poi non a caso ha subìto con Salvini un rovesciamento radicale nella destra nazionalistica. Oggi la Lega ha perduto ogni funzione progressiva. E i Cinque stelle sono un' accozzaglia di idee e individui tenuti insieme dal mito della rete come fine e non come mezzo». Ma il reddito di cittadinanza non è una cosa di sinistra? «Una manovretta risibile che comporta deficit senza produrre effetti concreti. E i soldi di questa elemosina li ripagheremo con gli interessi sul debito». I mercati ci manderanno gambe all'aria? «I mercati mi sono parsi assai tiepidi rispetto alle dichiarazioni di guerra fra i leader italiani ed europei, ci si poteva aspettare di peggio. E poi diciamocelo: rispetto alla montagna del nostro debito pubblico, le cifre di questa legge di bilancio sono abbastanza modeste». Intanto l'Europa dei burocrati ci ha dichiarato guerra. «Ma no. In parecchi scommettiamo che l' Europa abbasserà toni e non darà seguito alle sue velleità punitive. Né il commissario Moscovici né il resto della Commissione in scadenza potranno andare veramente alla guerra contro l' Italia. Tutto verrà progressivamente silenziato fino alle elezioni europee». Che cosa succederà dopo quelle elezioni? «Ne vedremo di tutti i colori, nel 2019. Ci attende una situazione geopolitica internazionale che comporterà guai per tutti». L'ascesa dei populismi europei può essere una riedizione dei fascismi sotto altre spoglie più aggiornate? «Ovviamente no. I fascismi sono stati le espressioni più grandi e tragiche del '900, il prodotto di grandi sovranità statuali indipendenti. Hanno una storia anche ideologica completamente diversa, nulla a che fare con i populismi attuali che nascono dalla crisi del vecchio ordine liberista e socialdemocratico, dalle trasformazioni tecnologiche e della composizione sociale, dalle contraddizioni, dalle lacerazioni e dai conflitti sorti con la globalizzazione». La politica ha ancora una forza e una legittimazione adeguate alle necessità che ha di fronte? «Il primato della politica sull' economia è un' illusione. Ma possiamo fare nostra la lezione di Max Weber: le potenze fondamentali della nostra epoca sono forze cosmopolite tecniche, scientifiche, economiche e finanziarie. Uno Stato deve essere organizzato al meglio non per contrapporsi a queste forze, ma per dialogare con loro. Parlo di uno Stato leggero ma forte e competente. Che si affida alla professione politica, ai partiti e al politico come organizzatore di obiettivi strategici e competenze, assistito da una buona burocrazia che è anche necessariamente politica, come ogni tecnocrazia». di Alessandro Giuli

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