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Matteo Salvini, il libro boicottato dai fascisti di sinistra va a ruba: ecco le cifre

Davide Locano
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Chissà perché ogniqualvolta qualcuno cerca di arrecarci danno finisce suo malgrado con l' apportarci beneficio. Si dà il caso che questa legge naturale che governa il mondo si sia realizzata recentemente anche in ambito politico. I grillini, i quali hanno condotto una campagna elettorale per le consultazioni europee volta a screditare ogni dì su media e social network i loro soci leghisti, in primis il ministro dell' Interno, hanno dimezzato i loro consensi con la ghigliottina, mentre la Lega li ha raddoppiati, traendo vantaggio dalla strategia demolitrice pentastellata, la quale si è rivelata distruttiva sì ma solo per chi l' ha adottata, non certo per chi l' ha subita. Leggi anche: "Mi fai vomitare": Camilleri insulta Salvini UN'OPERA INAMMISSIBILE Del resto che i cinquestelle abbiano difficoltà a centrare bersagli ed obiettivi è ormai fin troppo evidente. Addirittura imbarazzante, oseremmo dire. Non per i diretti interessati, ovvio, i quali non si vergognano di essere poco performanti. «La verità fa arrossire il diavolo», scriveva Shakespeare, ma non fa arrossire Gigino Di Maio. Se questo non vi è sufficiente come incontrovertibile prova che sarebbe meglio non tentare di fare lo sgambetto a chi vi sta alquanto sulle balle, al fine di non correre il rischio di vederlo spiccare il volo allegramente facendo leva sulla vostra tibia, vi forniremo un altro emblematico esempio. La sinistra fascista, non trovando validi argomenti di appiglio per attaccare il leader del Carroccio se non le solite menate sull' accoglienza negata ai clandestini e bla-bla-bla, ha rispolverato una sua arma tradizionale: la cara vecchia censura. E l' ha applicata al libro-intervista Io sono Matteo Salvini, vergato dalla giornalista Chiara Giannini ed edito dalla casa editrice Altaforte, di Francesco Polacchi, attivista di CasaPound. L' opera è stata dichiarata scandalosa e inammissibile, boicottata nonché esclusa insieme all' editore Polacchi dal Salone del Libro di Torino. Roba che a Stalin i progressisti italiani gli fanno un baffo. Mancava solo che Polacchi venisse spedito per posta prioritaria in un gulag siberiano e lì abbandonato fino alla morte per le fatiche dei lavori forzati. Ed ecco la notizia: apprendiamo ora che l' opera incriminata è alla sua terza ristampa. Lo ha reso noto Polacchi stesso sui social, informando tutti i lettori che aspettavano di divorarne una copia che i tomi sono freschi e profumati di stampa «Il libro di Salvini è un flop nelle vendite», titolavano soltanto pochi giorni fa alcuni quotidiani campioni di bufale, riportando forse un' intima speranza piuttosto che il dato di fatto. Persino 120 librai della Feltrinelli si erano uniti in un coro di belati chiedendo che dagli scaffali venisse eliminato il volume menzionando la militanza in CasaPound dell' editore come se si trattasse di uno stigma invalidante. E menomale che essi, per primi, dovrebbero essere favorevoli al pluralismo in tutte le sue sfaccettature. Ma è cosa nota che i cosiddetti democratici (illiberali) declamano il pluralismo solo di chi la pensa come loro. Il resto è rifiuto sociale, avanzo di umanità ignorante e plebea. Insomma, da questa faccenda dobbiamo concludere che la cattiva pubblicità giova. Persino più di quella buona. Fa acquisire voti e fa pure vendere libri. IL DISCREDITO NON PAGA Adesso la sinistra, grillini inclusi dato che la loro connotazione (oltre che il loro destino) è quella nonostante improbabili travestimenti, si trovano davanti una chance megagalattica per risollevarsi dal pantano in cui sono precipitati sputando odio. Che la smettano di puntare il dito contro il ministro dell' Interno nonché di scandagliare pretesti per minare la stima che costui è stato in grado di conquistarsi nel cuore degli italiani, ottemperando ai suoi doveri. Il pragmatico Matteo Salvini non parla mai di ciò che fanno gli altri, bensì di ciò che intende fare egli stesso. Non scredita l' avversario, semmai lascia che si consumi piano, da sé. Non pretende dimissioni per indignazione. Non urla allo scandalo. Il Consiglio dei ministri, del resto, non è una portineria. O almeno non dovrebbe esserlo. di Azzurra Barbuto

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