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Minniti: mi leccavano solo quando ero ministro

Maria Pezzi
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 Marco Minniti è il migliore fra i peggiori ma i suoi ex compagni, invece di ringraziarlo per i successi in materia di controllo dell' immigrazione selvaggia, oggi lo sputacchiano con vile ipocrisia. Ieri l' ex ministro dell' Interno ha consegnato a Repubblica uno sfogo informale per le parole d' accusa ricevute da Matteo Renzi in un articolo pubblicato il giorno prima. Titolo: "Allarmisti sui migranti, pavidi sullo ius soli". Minniti è un uomo schivo, degno esemplare di quella antica e minoritaria schiatta di comunisti con il senso dello Stato. Difficilmente lo vedremo polemizzare a cielo aperto con il suo ex premier fiorentino, ma già sappiamo come la pensa: quando il Viminale era nelle sue mani e lui inaugurò una politica di contenimento delle partenze dalla Libia, d' intesa con le autorità di Tripoli e aprendo corridoi umanitari insieme con l' Onu, sia Renzi sia i suoi influenti subalterni stavano tutti con il ministro. Al punto che Renzi, una volta caduto sul rovinoso referendum costituzionale del 2016, l' ha voluto ancora al suo posto nel governo di Paolo Gentiloni; e addirittura gli ha chiesto di candidarsi come portabandiera renziano alle ultime primarie. Sappiamo com' è andata: Minniti aveva accettato con spirito di servizio, salvo poi ritirarsi visto lo scarso e oscillante sostegno delle fazioni in lotta riconducibili al giglio magico. lontano da twitter Ma qui il punto è un altro. Minniti è un politico strutturato, solido, di formazione novecentesca, un faticatore d' apparato che non ha tempo per Twitter e playstation. Dalemiano per vecchia obbedienza, tra il 1999 e il 2001 fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio con lui e poi sottosegretario alla Difesa nel Giuliano Amato bis. In quel periodo prese confidenza con le deleghe ai servizi segreti che gli consentirono di addentrarsi nello Stato profondo dal quale si governano i conflitti e si proteggono i cittadini. Nella passata legislatura, si deve appunto a Minniti un silenzioso lavoro ispirato al concetto della sicurezza compassionevole. Ha sacrificato la sua leggendaria riservatezza soltanto nell' estate del 2017, di fronte a un picco di sbarchi dal nord Africa sulle nostre coste, interrogandosi pubblicamente sulla tenuta della nostra democrazia e ventilando la chiusura dei porti. Poi si è rimboccato le maniche per ridurre drasticamente il traffico degli schiavi subsahariani «senza muri, senza filo spinato e senza evocare l' invasione». Matteo Salvini non ha fatto altro che ereditare da Minniti un lavoro ben fatto e un ministero impiegato a regola d' arte per combattere malaffare e degrado urbano (ricordate il Daspo metropolitano? Idea di Minniti maltrattata dai sindaci). continuità al viminale Certo, il leader leghista ha saputo spingersi fin dove mai Minniti sarebbe approdato. Perché l' ex comunista ha pur sempre sostenuto la battaglia goscista per lo ius soli (in realtà ius culturae) e ha ripetutamente criticato Salvini con accenti accorati e a volte sopra le righe. E tuttavia nessuno ha potuto contraddire una linea di continuità tra i due, trattandosi nel caso di Salvini della prosecuzione del lavoro di Minniti in forma più intensiva e dirompente. Per approfondire leggi anche: Sea Watch, parla Marco Minniti Sarà dunque questo che l' ipocrita Renzi non perdona al suo ex beniamino? E stiamo parlando dello stesso Renzi che nel suo libro Avanti scriveva orgoglioso: «Vorrei che ci liberassimo da una sorta di senso di colpa. Noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio ma abbiamo il dovere morale di aiutarli. E di aiutarli davvero a casa loro». Parole che Minniti non avrebbe mai pronunciato, preferendo limitarsi alla soluzione dei problemi piuttosto che alla tardiva declamazione retorica di una verità così indigesta al popolo della sinistra estrema. Insomma, quando le cose andavano bene, quello lavorava e l' altro si prendeva i meriti e faceva il fenomeno. Ora che la sinistra mangia pane e cicoria e si disseta col fiele, il povero Minniti è diventato lo spaventapasseri abbandonato sul campo infecondo della sconfitta. Invece di tenerselo stretto, dopo averlo apprezzato e rispettato quale riserva della Repubblica stimata anche a destra, i compagni autolesionisti in servizio permanente ed effettivo l' hanno subito sconfessato. Ancor più stupisce che sia proprio Renzi a scivolare nell' errore: in politica si deve sempre comprendere l' ingratitudine, se non condonarla perfino; ma non la stupidità. di Alessandro Giuli  

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