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Danilo Toninelli fatto fuori dal governo Pd-M5s, Specchia: "Lo rimpiangeremo, ha solo sbagliato Ministero"

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Caterina Spinelli
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Eppure, diomio, lo rimpiangeranno. Lo rimpiangeranno assai, tutti i satirici d' Italia, soprattutto Maurizio Crozza che ne ha lanciato muscoli, idee e congiuntivi ipertrofici oltre l' ostacolo, rendendolo il mesto "ministro dell' entusiasmo". Loro lo rimpiangeranno. Il resto del mondo, forse, un po' meno. Eppure, sul serio dovremo fare a meno di Danilo Toninelli? Dovremmo davvero privarci di quei piccoli, trascurabili momenti di felicità che solo Toninelli ci sa offrire? Classe '74, una faccia da pignoratore immobiliare cremasco sopra un fisico da discobolo, Danilo è l' ultimo dei Mohicani del "governo del cambiamento" trasformatosi nel "governo della svolta". E la svolta, qui, pare sia proprio la dipartita di Toninelli, il quale non ha mai mollato lo scranno al Dicastero dei Trasporti perché "sapeva di essere nel giusto". Ora che il governo Conte bis sta per cancellarne le tracce, be', il solo pensiero di fare a meno di Toninelli c' intristisce, ci precipita nella banalità della routine ministeriale. Ci rende più soli. Raccontano che Toninelli abbia saputo della sua trombatura mentre, dall' angusta foresteria di Porta Pia, si accingeva a lavare i piatti in guanti e grembiulino. LE SUE IMPRESE Come ogni sera, da tre mesi a quella parte, la lavastoviglie rotta del ministro attendeva la sua analisi costi/benefici per la riparazione, dopo innumerevoli richieste d' interventi protocollati e malriusciti e ben 3mila euro di parcelle pagate dallo Stato. Poi, povero Danilo, gli s' era scassato pure il frigo. E Franco Bechis, che ne aveva misurato l' angoscia e lo sguardo fisso nel lavabo, intravide in Toninelli e la sua lavapiatti, la metafora d' un' omerica azione di governo, delle sue gaffes, della sua pertinace resistenza alla sfiga. Toninelli è quello, per capirci, che sorrideva a Porta a porta davanti al plastico del Ponte Morandi precipitato. Quello che esultava col pugnetto alzato all' approvazione del decreto Genova contenente un ineffabile condono per Ischia, concedendo agli autoctoni la facoltà di usare i fanghi dei depuratori come concime. Era quello che, mentre s' accavallavano i disastri idrogeologici e ai porti s' ammassavano le Ong cariche di migranti, sponsorizzava i seggiolini per neonati col sensore anti-abbandono. Quello che, contro ogni sua intima convinzione -la Tav, le navi in giro per la Laguna di Venezia, il Tap, le gronde, i poteri sconsiderati di l' Alitalia, le Ferrovie e le Autostrade di Benetton- è riuscito sempre ad approvare, da solo, ogni provvedimento contro il quale s' era sempre battuto. Più che sulle barricate della Val di Susa, Toninelli lo si ricorda girellare, assieme a Di Maio, nel ventre dell' AirForce di Matteo Renzi, aereo costosissimo che i due avevano annunciato di voler rimandare indietro. Più che nelle ispezioni a ponti, porti e infrastrutture, l' uomo si è fatto notare nella tenace azione contro illustri esponenti del suo stesso partito: ora per aver bloccato l' immatricolazione dei bus israeliani fatti arrivare a Roma dalla giunta Raggi, ora per aver alzato il passante di Bologna in faccia a Max Bugani il quale descrisse quell' inedita palata di cemento come "una palata di merda per il Movimento". Toninelli a quel genere di palate ci ha fatto il callo. Mi ricorda Gianni, il brutto dei Brutos che, come si muoveva, prendeva sempre sberle da tutti, così anche senza apparente motivo. IL MINISTERO SBAGLIATO Una volta il ministro, volendo fare il colto, si lasciò scappare a commento di Matteo Salvini la nota frase di Bernardo di Chartres: «È un nano sulle spalle di giganti». Non si capì chi fossero i giganti, ma la frase fece incazzare l' associazione dei nani d' Italia. Eppure, Toninelli, ex ufficiale dei carabinieri divenuto perito assicurativo, entrato in extremis nella lista dei ministri al posto del geologo Mauro Coltorti, alle Infrastrutture non ci voleva andare. «Non si era mai occupato di infrastrutture prima e forse vorrebbe non essersene mai occupato», scrisse L' Espresso elencandone gli insuccessi, dalla lotta contro le pedemontane di Fontana e Zaia a quella contro la fusione Anas-Fs voluta dal predecessore Delrio, roba che provocò "la cacciata del presidente Armani e l' esodo dei suoi manager: 6 milioni di euro in buonuscite nei primi 5 mesi del 2019 per i dirigenti della vecchia gestione e processo della Corte dei conti in arrivo". Eppure, Toninelli, laureato in legge, quando si occupava per il M5S di riforme istituzionale era un temibile mastino: competente, preparato, scontroso ma sempre rispettoso dell' avversario. Oggi, probabilmente verrà immolato all' altare del Pd. E già ne avvertiamo una profonda nostalgia... di Francesco Specchia

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