Se anche uno mite e spesso silente come Andrea Orlando prende il coraggio a quattro mani, si alza e piccona Matteo Renzi, è segno che a palazzo Chigi e dintorni non si possono dormire sonni troppo tranquilli. Orlando, che è stato pubblicamente sbeffeggiato dal suo premier come ministro della Giustizia troppo timido, addirittura “doroteo”, se ne è uscito dopo le elezioni a sostenere addirittura “per prima cosa dobbiamo ricostruire il Pd. La suggestione del partito della nazione mi pare superata da queste elezioni”. E via mitragliate sulla linea tenuta dal partito in questi mesi. “Ricostruire il Pd” sembrerebbe quasi una bestemmia dopo il mito del partito “del 40%” post europee, del leader solo al comando con il popolo dalla sua, del vento del successo che ha in questi mesi sempre accompagnato Renzi. Vedere invece l'opinione pubblica che improvvisamente vira, che si mangia tutto il credito dato un anno fa al capo del governo, portandolo negli indici di fiducia giù ai livelli del loden di Mario Monti dopo la riforma Fornero, sta rianimando il pancione del più grande partito italiano. Che mormora e ribolle come mai aveva potuto fare in questi mesi. Non pochi anche dentro le correnti non renziane, ma finite con il supportare il giovane sindaco di Firenze, lo stanno guardando dopo le regionali come un'anatra zoppa, che fatica a camminare. Era lo sguardo che lo stesso Renzi aveva su Enrico Letta quando ha iniziato la scalata al suo partito. Questo nuovo malumore, che nasce dentro la maggioranza e non nelle file un po' incerte e spesso poco attendibili della minoranza, è assai più insidioso per Renzi di quel che fin qui si è visto. L'uscita di Orlando è il primo segnale di allarme. “Ma c'è malumore anche nel correntone di centro del Pd, quello che ha un rapporto privilegiato con il Capo dello Stato, Sergio Mattarella”, confida un leader di quell'area, “ e qualche movimento tellurico a palazzo Chigi c'è. Non solo perché vale l'antica massima del morto un premier se ne fa un altro. Ma perchè le elezioni anticipate non spaventano troppo, visto che al momento sarebbe in vigore il Consultellum, e non l'Italicum”. Per capire eventuali mosse, bisogna guardare proprio quell'area di centro - i cui leader sono Dario Franceschini, Beppe Fioroni ed Enrico Letta- che in Parlamento è di fatto l'azionista di riferimento del Pd. Sono loro a dovere valutare se Renzi è ancora il Sergio Marchionne del Pd o se l'aria fritta accumulata in questi mesi è davvero troppa, ed è meglio aprire le finestre di palazzo Chigi e fare entrare una bella rinfrescata. Ci sarà tempo per capire, ma già ora nei colloqui privati si coglie una preoccupazione comune alla minoranza del Pd: se il capo del partito e del governo continua a tagliare ponti con l'elettorato tradizionale di quell'area (sindacati, insegnanti, etc..) e non riesce a sostituirla come è evidente dalle regionali con altri blocchi sociali più conservatori, il problema c'è e non è da poco... di Franco Bechis @FrancoBechis
