«In una situazione economica disastrosa come quella di oggi, secondo me gli studi di settore dovrebbero essere cancellati». È l’ultima proposta lanciata dal leader della Lega Nord Matteo Salvini. Gli studi di settore sono lo strumento attraverso cui il Fisco stabilisce la capacità contributiva di liberi professionisti, lavoratori autonomi e imprese. Attraverso una serie di parametri prestabiliti si determina un guadagno presunto su cui pagare le tasse. Gli studi di settore sono sempre stati contestati dalle partite Iva, perché troppo spesso presumono entrate molto più elevate di quelle reali e per i contribuenti giudicati «non congrui» è difficilissimo dimostrare di non aver evaso. La situazione ovviamente si è aggravata con la crisi, che ha costretto le imprese e gli autonomi a doversi confrontare con studi tarati con i parametri di quando l’economia non andava così male. La proposta di Salvini si inserisce nel solco della tradizione pseudo-liberista ed antistatalista della Lega, quella della lotta contro lo Stato centrale sprecone («Roma ladrona!») ed un fisco esoso che perseguita chi produce ricchezza. E nella stessa direzione vanno le battaglie contro il redditometro, l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia, accusata di applicare tassi da usura. Anche sulla riforma fiscale la Lega ha ripescato una proposta liberale molto cara alla tessera n.2 di Forza Italia, Antonio Martino: la flat tax al 20%. La riscoperta delle parole d’ordine della «rivoluzione liberale» sta premiando il Carroccio, che secondo gli ultimi sondaggi è al 7%, unico partito del centrodestra in crescita. E di mezzo c’è anche la concorrenza con Forza Italia, in crisi d’identità per il suo rapporto con il governo e soprattutto in crisi di consensi. Ma la ricetta economica di Salvini è difficilmente inquadrabile, visto che a fianco a spinte liberiste convivono anche pulsioni stataliste. L’idea di base è stata riassunta così da Claudio Borghi, il guru economico della Lega, proprio a Libero poco tempo fa: «Intendiamo sposare la filosofia opposta di Mario Monti, che ha aumentato le tasse diminuendo la spesa. Vogliamo fare il contrario». Quindi diminuire le tasse ed aumentare la spesa, che detta in questo modo sembra il paese di Bengodi. Così a fianco a misure di alleggerimento dello Stato come l’abolizione degli studi di settore e l’aliquota unica al 20%, ci sono proposte di protezionismo e interventismo statale. Lo Stato dovrebbe ostacolare le importazioni ed investire direttamente nell’agricoltura, facendo produrre in Italia prodotti che vengono generalmente acquistati dall’estero, ad esempio attraverso una partnership pubblico-privato che permetta di coltivare in Sicilia mango e ananas oltre ai tradizionali agrumi. Si tratta insomma di un mix tra liberismo e dirigismo, un po’ di Friedman e un po’ di Colbert, un passo indietro dello Stato sul lato del fisco e uno in avanti sul fronte della «politica industriale». Meno tasse e più spesa, senza considerare i vincoli di bilancio. Non si sa quali possano essere gli effetti di questa ricetta sull’economia, per ora si vedono quelli sui sondaggi che premiano la Lega e la Salvinomics. di Luciano Capone
