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Dalla Moretti a Vendola:tutti i "Giuda" di Bersani

I "suoi" che hanno affossato Marini. La lista è lunga: dalla portavoce a Nichi, storico alleato. La fotografia di un finto leader arrivato al capolinea
di Andrea Tempestini domenica 21 aprile 2013

Alessandra Moretti

3' di lettura

  Avanti così e ci saranno speranze di riabilitazione anche per Giuda Iscariota. Perché a Pier Luigi Bersani alcuni hanno disubbidito, alcuni hanno lanciato una sfida, alcuni hanno semplicemente fatto uno sgarbo. Altri hanno fatto qualcosa di diverso: gli hanno piantato un coltello in mezzo alla schiena. E se si tiene conto che, a menare il fendente, sono stati personaggi che al segretario del Partito democratico devono quantomeno l’ingresso in Parlamento, rubricare l’operazione alla voce “vile tradimento” viene più che naturale. Il caso più clamoroso è quello di Alessandra Moretti. Vicesindaco di Vicenza e personaggio del tutto sconosciuto al di fuori dei confini cittadini, alla fine dell’anno scorso ebbe a ritrovarsi dall’oggi al domani sotto i riflettori della ribalta nazionale. Merito di Bersani che, dovendosi dotare di uno staff per la sfida delle primarie contro Matteo Renzi, pescò la Moretti insieme a Roberto Speranza (futuro capogruppo alla Camera) e Tommaso Giuntella.  E la Moretti ripagò la fiducia del leader con zelo oltremodo vistoso. Presenza fissa nei talk show a difendere la trincea bersaniana dall’assalto rottamatore, pronta a replicare a brutto muso a quanti - lo stesso Renzi in testa - osassero prendersela col Capo, tetragona dopo il voto (e dopo la sua elezione alla Camera in quota Bersani) nel difendere alla morte la linea del governo del cambiamento. E invece alla morte un bel niente. Perché nel momento del bisogno, quello vero, la prima schiena voltata che Bersani ha dovuto vedere è stata proprio quella della sua creatura. La quale, intuita la malaparata dell’opzione Marini, ha platealmente scaricato il proprio segretario nonché mentore votando - e facendo sapere di avere votato - scheda bianca. Meschinetta la motivazione addotta, col richiamo alla «voce del Paese reale» (tradotto: i selvaggi urlanti alle porte di Montecitorio) che contribuisce a dare un’ulteriore mano di bianco al sepolcro. Tallona la Moretti, nella hit parade dei traditori, Nichi Vendola. Il quale deve a Bersani l’ingresso in Parlamento (fuori dalla coalizione, col misero 3,2% raccolto alle elezioni sarebbe rimasto a casa) e soprattutto il clamoroso incasso della presidenza della Camera con Laura Boldrini, eletta dal Pd per ordine del segretario. Nonostante questo, il governatore della Puglia è stato il primo a pugnalare Bersani, non aspettando nemmeno l’inizio delle votazioni di ieri mattina per impegnare il proprio gruppo parlamentare nella battaglia per eleggere il compagno-cittadino Rodotà. Meritatissima medaglia di bronzo per Riccardo Nencini. Il leader di quello che resta oggi del già glorioso Psi più di tutti deve a Bersani l’entrata a Montecitorio: alle scorse elezioni, infatti, il suo simbolo non fu nemmeno presentato, essendosi direttamente reso necessario l’imbarco forzoso di Nencini e di pochi e selezionati fortunati nelle liste del Partito democratico. Restituire il favore? Neanche per sogno. Nencini, impegnato da giorni a tirare la volata ad Emma Bonino, a convergere su Marini non ha pensato nemmeno per un minuto. Anzi, a primo scrutinio appena concluso e a dramma umano e politico di Bersani appena innescatosi, il leader del Psi inondava le agenzie con entusiastici comunicati circa la «soddisfazione» per il risultato della leader radicale e culminanti nella promessa di sostenerla alla seconda votazione indipendentemente da tutto. E chissà se, a vedere questa gente, a Bersani saranno tornati in mente i tempi dell’anno scorso, quando gli ex fedelissimi che voltavano le spalle al leader erano i berlusconiani e il Cavaliere si lamentava della loro «ingratitudine». Chissà se gli saranno tornati in mente, quei tempi, e chissà se gli saranno tornate in mente le risate che si erano fatti gustandosi i guai di Berlusconi, uno così indietro da continuare ad essere convinto che in politica la gratitudine contasse ancora uno straccio di qualcosa. (m. g.)  

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