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Palamara, Patronaggio e Csm, Renato Farina: "Mattarella, come fa ad accettare la riforma di Bonafede?"

Renato Farina
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Facciamo due nomi di siciliani. 1) Sergio Mattarella. 2) Luigi Patronaggio. Il numero uno lasciamolo per qualche minuto in pace sul Colle più alto, poi lo interpelleremo disperatamente. Cominciamo dal secondo. Nell'agosto del 2018 si combatté la battaglia di Lampedusa. Lui ne fu il protagonista asceso dall'anonimato di provincia. La sua storia è stata raccontata dagli ex grandi giornali come quella del piccolo eroe Davide-Patronaggio che con la fionda cercava di abbattere il crudele Golia-Salvini, il quale teneva prigionieri 190 disgraziati africani al largo di Lampedusa. È il famoso caso Diciotti. Per cui l'allora ministro dell'Interno ha rischiato un processo per reati gravissimi, come sequestro di persona e altre enormità da dieci anni di carcere. Dimenticatevi questo racconto. È una panzana clamorosa. Ora si scopre dalle carte depositate dai pm di Perugia, che la storia - al di là delle intenzioni certo sofferte di Luigi Patronaggio - è stata una trappola ordita per serrare la tagliola alle caviglie del nemico politico. I capi della magistratura e dei suoi organi di autogoverno usarono la periferica procura di Agrigento come fiocina per infilzare il loro Moby Matteo Dick. Ora si può ricostruire il miserabile complotto. Il vice di Mattarella al Csm, Giovanni Legnini del Partito democratico, spinse Luca Palamara, membro del Csm e già presidente dell'Associazione nazionale magistrati (Anm, il sindacato unico della categoria), a sostenere in privato e in pubblico Patronaggio. Il quale era ancora incerto. Legnini smuove Palamara. E costui scrive a Patronaggio: «Carissimo Luigi, ti chiamerà anche Legnini, siamo tutti con te». È il 24 agosto del 2018. Il giorno dopo Patronaggio si decide: spedisce a Salvini l'avviso di garanzia. Stavolta la faccenda è troppo grosso per liquefarla con chiacchiere di convenienza.

 

 

 

È solo l'ultima regalataci dal Trojan infilato nel cellulare del pm Palamara, che ha rivelato la putrefazione di un mondo finora dotato di un complesso di marmorea superiorità morale. Quella morale si è sbriciolata. Resta quella pratica. Questa superiorità persiste. Hanno il potere immenso di togliere la libertà alle persone. Non sarebbe un problema se questa facoltà inerente ai Tribunali fosse regolata solo dalle leggi e dal senso di giustizia. Chi ci crede più? giù dal monumento La toga è cascata giù dal monumento che si sono fatti i magistrati, rivelando gambe e stomaci pelosi. Una scarsa igiene spirituale che leggendo la cascata di messaggi auto-promozionali non è prerogativa solo di qualche capatàz, riguarda una clientela di piccoli e grandi magistrati che senza vergogna sono disponibili a sacrificare il senso di giustizia per la carriera. Altro che mettere in mano a questa casta di immacolati da prima comunione (addio) la fiaccola della libertà e dell'equità. Finito il capitolo Patronaggio.

Eccoci al primo nome evocato in questo articolo: Mattarella. Ci chiediamo: perché tace mentre il Terzo Potere si è auto-travolto ed è sommerso dal discredito? Il presidente della Repubblica è anche il Capo della Magistratura e ne presiede l'organo di auto-governo. Non ha il potere di sciogliere il Csm, e neppure di dare il via ad azioni disciplinari. Che può fare allora? Tacere. Ma anche parlare e persino agire. Come? Ovvio: non è che in Italia si possa sospendere la funzione giurisdizionale. Ma essere giudicati da una categoria dove un 6-7 per cento (Nicola Gratteri) è corrotto; e buona parte modula la sua attività in funzione di garantirsi la carriera; tutto questo è intollerabile. Il cancro della giustizia va affrontato: chirurgia, chemioterapia, prevenzione, tutto. Mattarella può indicare il senso che deve avere la giustizia (significato e direzione di un cambiamento). A cosa stiamo assistendo oggi? È incredibile ma la magistratura pretende di auto-riformarsi, come un omicida che pretenda di farsi da solo il processo. E in che cosa vuole cambiare? Nel modo di comporre il Csm, nei criteri di elezione del medesimo. Cioè di mescolare tra i suoi membri le carte, senza mettere in discussione le strutture intime della corporazione. Ieri il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha radunato i responsabili di settore della maggioranza. E la sua proposta di riforma è perfettamente in linea con i suoi veri protettori, e cioè i magistrati. Che riforma sarà mai quella di uno che ha consegnato ogni potere alle toghe, grazie all'abrogazione della prescrizione e all'allargamento a dismisura della possibilità delle intercettazioni? criteri per una riforma È qui che Mattarella dovrebbe intervenire. Come fa ad accettare tutto questo? Una riforma della giustizia reale non può che prevedere: 1 - separazione delle carriere, 2 - la responsabilità civile come per qualunque categoria professionale, 3 - la fine dell'obbligatorietà (finta) dell'azione penale, che coincide con la discrezionalità politica assoluta, 4 - meno custodia cautelare a discrezione, 5 - criteri che regolino le intercettazioni perché siano meno invasive della vita di tutti. Questo sì che costringerebbe, insieme a criteri per le carriere meno lasciati al clientelismo, ad un altro corso della giustizia e dunque della nostra vita. Mattarella davanti a questa differenza spaventosa tra l'animazione del popolo e le presina di tabacco da naso per curare il cancro, che vuole adottare il governo Conte, ha un'arma, al di là della moral suasion personale che siamo certi stia esercitando: un messaggio al parlamento sulla giustizia. Ha una autorevolezza tale in Italia che non potrebbero metterlo in freezer. 

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