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Referendum, con il taglio dei parlamentari resta in Parlamento 1 grillino su 3

Fausto Carioti
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C'è qualcosa di epico e insieme ridicolo nell'entusiasmo con cui i Cinque Stelle corrono incontro alla bella morte. Epico, perché per trovare qualcosa di simile nella storia occidentale occorre risalire a un documentario Disney degli anni Cinquanta, nel quale migliaia di lemming, piccoli roditori artici, correvano a gettarsi da una scogliera per annegarsi nell'oceano. E ridicolo perché, mentre preparano il suicidio di massa, Luigi Di Maio e gli altri adepti della setta si inchiavardano agli scranni, pronti a fare un governo con Kim Jong-un, Darth Vader o chiunque altro glielo proponga.

 

Tutto, pur di non mollare sino alla naturale scadenza della legislatura il primo impiego regolarmente retribuito che abbiano mai avuto. Non doveva andare così, ovviamente. Quando lanciarono la sfida del taglio dei parlamentari immaginavano che nel frattempo avrebbero consolidato la loro posizione di primo partito e puntavano a governare da soli nella prossima legislatura. In privato, troppi di loro se ne sono pentiti. Perché adesso stanno per incassare un doppio colpo. L'effetto combinato della "loro" riduzione degli eletti da 945 a 600 (ultima bandiera rimasta dopo avere ammainato tutte le altre, dal no alla Tav al tetto di due mandati) e del crollo dei consensi, inchiodati sotto al 16%: meno della metà di quanto preso alle Politiche del 2018.

RESISTERE
Il risultato? Una strage. Solo uno su tre di loro potrà salvarsi e avere un posto nel parlamento che verrà. Gli altri in fila dai navigator, a cercare un nuovo lavoro. Se gli italiani si recassero ai seggi con l'attuale orientamento di voto, all'indomani della probabile vittoria dei Sì al referendum e della riforma elettorale che sta scrivendo la maggioranza (legge proporzionale con sbarramento al 3%, fatta apposta per azzoppare Matteo Salvini), solo 104 pentastellati troverebbero un posto tra Camera e Senato. E siccome oggi, in parlamento, tutti loro sono 295, significa tra una legislatura e l'altra ci lasceranno le penne in 191: un tasso di mortalità del 65%. Calcoli che in qualche modo hanno fatto pure loro. Si spiegano così la transumanza incessante verso altri lidi (dall'inizio della legislatura se ne sono andati in 37) e l'accanimento con cui i pasdaran rimasti difendono il governo di Giuseppe Conte.

Resistere resistere resistere, arraffare tutto quello che passa sulla tavola e pregare che, da qui all'Armageddon, qualcosa cambi. I numeri dei partiti nel prossimo parlamento appaiono in uno studio appena pubblicato dall'istituto Cattaneo, il primo a simulare cosa avverrebbe in caso di vittoria dei Sì e riscrittura delle regole del voto. In quel lavoro manca, però, il raffronto con la situazione attuale, dal quale si ricavano indicazioni importanti. Ad esempio per quanto riguarda Fratelli d'Italia. Il partito di Giorgia Meloni ha visto crescere moltissimo i propri consensi, tanto che oggi è dato al 14,8%, oltre 10 punti in più di quanto ottenuto alle elezioni politiche. Questo gli consentirebbe non solo di assorbire senza perdite il taglio dei parlamentari, ma addirittura di raddoppiare la propria truppa di deputati e senatori: sono 50, diventerebbero 97.

 

LEGA BENINO, MALE FI
Non è l'unica formazione che guadagnerebbe qualcosa. I democratici otterrebbero tre seggi in più di adesso (128 anziché 125), ma la ragione principale è un'altra: il loro contingente in questa legislatura è già stato decimato dalla scissione dei renziani e così, malgrado il taglio dei parlamentari e i sondaggi fiacchi, che li danno sempre attorno al 20%, la loro rappresentanza non sarebbe penalizzata. Il prezzo lo pagherebbero per intero quelli di Italia Viva, oggi in 49: il giorno dopo le elezioni politiche, sempre che riuscissero a prendere più del 3%, si ritroverebbero in 15. Perdite limitate per la Lega, che dopo il taglio avrebbe 167 eletti nelle due Camere, 23 in meno di oggi, ma sarebbe la prima forza nei due emicicli ed aumenterebbe il proprio peso dal 20 al 28% dei parlamentari. L'impatto sarebbe invece dolorosissimo per Forza Italia, dove resterebbero in 40, ben 109 in meno di oggi. Silvio Berlusconi avrebbe comunque il sollievo di scoprirsi indispensabile: senza il suo partito, il centrodestra non potrebbe governare. Mentre ai Cinque Stelle appare negata ogni consolazione: né una nuova alleanza gialloverde con la Lega né una riedizione della coalizione giallorossa avrebbero i numeri per governare, e dunque per garantire Di Maio e soci ulteriori prebende da ministro. 

 

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