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Matteo Salvini ed Enrico Letta, retroscena sul faccia a faccia: riflessione sul successore di Sergio Mattarella

Alessandro Giuli
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Da ieri Lega e Pd si sono vincolati a un patto che marca una tregua molto politica e prelude a un tragitto pre elettorale. Ecco in sintesi l'approdo dell'ora e un quarto di colloquio tra Enrico Letta e Matteo Salvini, avvenuto nell'ufficio romano della scuola di formazione fondata dal neosegretario del Pd (Arel). L'appuntamento era previsto da giorni - rientra nella road map diplomatica di Letta con i vertici degli altri partiti - ma fino all'ultimo mancava una data certa. Non è da escludere che l'accelerazione dipenda anche dall'aumento della febbre sociale provocato dalle restrizioni pandemiche e dal conseguente impegno, anticipato dal premier Mario Draghi, a valutare progressivi allentamenti e a predisporre altri robusti sostegni economici. Il prossimo decreto si chiamerà dunque "Decreto Imprese" e non più "Decreto Sostegni", in modo da sottolineare l'impegno ad hoc a favore di partite Iva e lavoratori autonomi (nel provvedimento è prevista l'iniezione di una somma rilevante, superiore a quelle del passato): «Per aiutare i troppi dimenticati». Passano invece in secondo piano gli argomenti di bandiera e più divisivi come l'immigrazione o la legge Zan sull'omotransfobia, ma perfino la legge elettorale viene posposta nel quadro di una riflessione futura da allargare all'intero arco parlamentare. Di là dalle parole di circostanza sul «clima cordiale» e sulla necessità di riaperture che dovranno essere calibrate in base a «dati scientifici e medici», come ha ammesso Salvini, i due leader hanno concordato sulla necessità di ottenere buoni risultati per mettere a fattor comune il successo obbligato del governo Draghi. Ma c'è di più.

 

 

 

Lega e Pd sono i due partiti a maggiore vocazione "politica" nell'attuale larga maggioranza, essendo i Cinque stelle un movimento populista alle prese con una difficile operazione rifondativa, è dunque logico che siano loro i contrafforti di un esecutivo d'emergenza chiamato a dare risposte veloci ai settori produttivi più in sofferenza. Prenderne atto pubblicamente è anche un modo per uscire dalla sorda e insidiosa dialettica prevalente nelle ultime ore, quella tra gli scienziati rigoristi (con il ministero della Salute a rimorchio) e una piazza in ebollizione la cui rappresentanza il Pd non intende lasciare al dinamismo salviniano o all'opposizione di Giorgia Meloni. È opinione di Letta che le partite Iva e i commercianti, così come gli altri esercenti e gli artigiani, rappresentino la nuova frontiera di un precariato da proteggere; e che questo compito spetti anzitutto a un fronte progressista slittato a sinistra ma ancora in difficoltà nel ristabilire un rapporto con le classi medie in via di proletarizzazione, divenute nel tempo una riserva elettorale delle destre. «Un barista che chiude per sempre la saracinesca sta peggio di un cassintegrato», sostiene il segretario. C'è poi un'altra urgenza condivisa da non trascurare: sia Letta sia Salvini stanno immaginando un percorso di ritorno alla normalità politica post pandemica, di qui l'enfasi sul fatto che i rispettivi partiti sono e restano due forze costitutivamente alternative, affiancate in via provvisoria in uno stato d'eccezione dopo il quale ci si misurerà con gli elettori su fronti contrapposti. Se adesso l'interesse nazionale, l'amor patrio e la cura verso chi soffre di più impongono una convergenza intorno alle priorità lancinanti, dopo la parentesi del governissimo bisogna ripristinare al meglio la dialettica dell'alternanza. E arriviamo al punto fondamentale: che stia già iniziando il dopo Draghi?

 

 

 

Per certi versi sì. Come già il predecessore Nicola Zingaretti, Letta è impaziente di acquisire la completa padronanza dei suoi gruppi parlamentari e vuole scrollarsi definitivamente di dosso il tratto grancoalizionista della stagione 2013-2014, quando fu il premier d'emergenza indicato da Giorgio Napolitano. Di qui l'insistenza sulla natura transitoria e non inciucista del patto su cui poggia l'esperimento di Draghi. Pur di liberarsi dalla falsa percezione che il Pd debba stare per forza al governo, rischiando così di perpetuare l'equivoco di un partito del potere privo di consenso, è preferibile rischiare di consegnarsi a un ruolo di minoranza nel prossimo Parlamento. In questa prospettiva anche Salvini ha molto da guadagnare mostrandosi collaborativo e responsabile, non foss' altro perché gli obiettivi dell'avversario si sposano con la possibilità di accorciare i tempi per convocare le urne non appena risolta la pratica di successione a Sergio Mattarella sul Quirinale nel 2022. E questa è un'altra partita sulla quale si misurerà il ritorno della politica al centro della scena pubblica adesso occupata dal Covid.

 

 

 

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