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Marta Cartabia, il retroscena: quel conflitto di interessi che blocca la riforma della giustizia

Marta Cartabia  

Paolo Ferrari
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La tanto attesa riforma del Consiglio superiore della magistratura, l'organo di autogoverno delle toghe, sembra essere stata scritta da Bettino Craxi, Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani, il mitico "Caf" che ha dominato la scena politica italiana negli anni Ottanta. Per superare la degenerazione del correntismo in magistratura e la conseguente lottizzazione degli incarichi, quindi l'assegnazione dei posti di procuratore e presidente di tribunale odi corte d'appello sulla base della tessera e non del merito, la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha tirato fuori dal cilindro il sistema del «voto singolo trasferibile».

Il progetto di riforma, che dovrebbe agevolare l'erogazione dei soldi del Recovery, è stato presentato questa settimana ai capigruppo di maggioranza della Commissione giustizia della Camera. Nessuno, tranne Pierantonio Zanettin di Forza Italia che ha espresso «perplessità», si è però posto la domanda su cosa consista questo meccanismo elettorale che dovrebbe finalmente risolvere i mali che affliggono la magistratura italiana, restituendole indipendenza ed imparzialità. Proviamo, allora, a spiegarlo noi.

 

 

Se venisse approvata questa riforma, i circa diecimila magistrati italiani alle prossime elezioni per la componente togata del Csm, attualmente 16 membri che diventeranno 20, sulla scheda elettorale anziché la preferenza singola, come avviene ora, potranno esprimere una "graduatoria" di preferenze per i candidati. Cosa significa? Oggi i magistrati votano in un collegio unico nazionale i 16 componenti togati del Csm.

Con la riforma Cartabia si creeranno più collegi, coincidenti con i distretti di Corte d'Appello, e potranno essere espresse fino a quattro preferenze. Trattandosi di collegi elettorali molto ristretti, poche centinaia di elettori, diventerà facilissimo per i ras delle correnti controllare capillarmente il voto attraverso il classico sistema delle "terzine" e "quartine". Come accadeva nella Prima Repubblica dove ad ogni elettore, chi ha i capelli bianchi ricorderà bene, soprattutto al Sud, veniva consegnata un lista di preferenza da indicare sulla scheda. Liste tutte differenti. La somma dei voti ottenuti permetteva quindi di verificare a scrutinio ultimato se ci fossero state "defezioni" fra gli elettori. Per superare questo meccanismo elettorale che non lasciava alcuna autonomia al singolo elettore e si prestava alle peggiori clientele, venne proposto da Mario Segni nel 1991 il referendum sulla "preferenza unica". Referendum che passò con il 95% dei voti nonostante l'invito di Craxi e soci ad andare al mare invece che alle urne. Sorprende, allora, che la ministra Cartabia voglia tornare alla preferenza multipla che ha segnato una pagina poco esaltante della storia del Paese. Ma chi è l'ideatore di questo sistema? 

 

 

Il professore Massimo Luciani, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Roma, nominato lo scorso marzo dalla Cartabia presidente della Commissione per la riforma del Csm. Luciani ha le idee chiare. Intervenendo pochi mesi fa a un convegno di Area, la corrente di sinistra delle toghe, si era spinto ad affermare che «la riforma del sistema elettorale del Csm non può essere l'occasione per stroncare la libertà di associazione dei magistrati qua talis, specie a fronte di un associazionismo nato e prosperato anche per la spinta di legittime pulsioni ideologiche e culturali». «Un simile intento - aveva aggiunto - sarebbe, puramente e semplicemente, distonico con l'apertura pluralistica dell'impianto costituzionale».

Il professore ha da sempre rapporti con le correnti dell'Associazione nazionale magistrati, avendone assistito gli iscritti nei ricorsi contro il ministero per il miglioramento del loro trattamento pensionistico. Recentemente ha difeso, con poca fortuna, davanti al giudice amministrativo, il procuratore di Roma Michele Prestipino, l'ex pm di Mani pulite Piercamillo Davigo, il procuratore aggiunto Ilaria Calò. La Commissione, per la cronaca, è composta anche da magistrati esponenti di primo piano delle correnti. Un nome fra tutti: Rodolfo Sabelli, attuale procuratore aggiunto a Roma ed ex presidente dell'Anm. Con lui Renato Balduzzi, ex componente laico del Csm. 

 

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