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Guido Crosetto, Quirinale cruciale per il centrodestra: "Se si divide l'alleanza è morta. E non meriterebbe neanche il mio voto"

Guido Crosetto

Antonio Rapisarda
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Guido Crosetto, cofondatore di Fratelli d'Italia ma da tempo laico (e ascoltato) osservatore delle dinamiche del centrodestra, non vede di buon occhio il lavorìo del cantiere fra Lega e Forza Italia. Nonostante - sulla carta - ciò potrebbe aprire persino nuovi spazi elettorali per la sua grande amica Giorgia Meloni.

Crosetto, sinceramente: il patto Salvini-Berlusconi è più un ostacolo o un'occasione per Fratelli d'Italia?
«Mi creda: è un regalo. Un regalo, tuttavia, che Giorgia Meloni vorrebbe non avere».

Se si tratta di un dono perché rifiutarlo?
«Perché non rafforza il centrodestra nella sua complessità pur rafforzando ancora di più Fratelli d'Italia. E siccome la Meloni è una che ragiona bene, si rende conto perfettamente che la crescita del suo partito - se avviene a discapito della coalizione - non è affatto una cosa positiva».

 

 

Torna la parafrasi: la somma che "non" fa il totale?
«La somma fra Lega e Forza Italia farà perdere voti rispetto alla portata dei singoli partiti, a maggior ragione se azzurri e leghisti continueranno così. Perché gli elettori di Forza Italia sono da sempre distanti dagli elettori di Salvini e viceversa. Parlano a mondi diversi. E infatti la grandezza, la peculiarità che ha portato a governare il centrodestra di Berlusconi era sommare mondi diversi, non unificarli».

Adesso il Cav è in piena fase unionista.
«Ma il Berlusconi della fase vincente metteva insieme l'Udc, An e la Lega Nord con Forza Italia. Anime distinte che compongono da sempre il centro destra: un'identità non così semplice né semplificabile. Un'esperienza che va dai liberali ai conservatori più radicali, dai cattolici ai laici di destra. Un mondo composito che deve essere rappresentato tutto dall'offerta politica».

A Villa Certosa Berlusconi e Salvini hanno benedetto la loro integrazione come uno strumento per pesare e osare di più nel governo Draghi.
«Sì, la vedono come un'occasione per pesare di più nel governo e stanno mettendo sul tavolo molte delle loro contraddizioni...».

In che senso?
«Parlano di convocare riunioni con gruppi parlamentari e ministri. Ma proprio questi sono stati gli elementi che hanno indebolito a mio avviso sia Forza Italia che la Lega in questo periodo. Parlo della dialettica fra la base degli eletti e i rappresentanti dei partiti al governo. I gruppi, infatti, sono più vicini al sentimento popolare - e quindi cercano di tenersi a distanza di sicurezza da certi provvedimenti dell'esecutivo - mentre la delegazione ministeriale deve difendere le proprie scelte. Mettere insieme Giorgetti e Gelmini, da una parte, con il grosso dei parlamentari sarà un bel problema».

Dall'altra parte Pd e 5 Stelle non stanno di certo a guardare...
«Appunto. La proposta di Giorgia, che è quella di mettere insieme la coalizione per ragionare su alcune battaglie comuni, avrebbe rafforzato anche l'operato del centrodestra che sostiene Draghi. E invece c'è questa paura della crescita della Meloni che sta facendo fare degli errori che avvantaggeranno pure FdI ma che rischiano di danneggiare in prospettiva il centro destra».

 

 

Secondo i maliziosi, uno degli scopi della federazione sarebbe proprio "contenere" l'exploit di FdI.
«Ma per carità! Significherebbe fare politica in modo miope. Il tema è quello che le dicevo prima: la crescita di un partito è poca cosa. Ciò che importa è avere una coalizione solida per ottenere la maggioranza. Avere il primo partito d'Italia e poi non riuscire a governare perché ci sono dei meccanismi politici che depotenziano una coalizione non serve a nessuno».

È proprio ciò che, nelle ricostruzioni dei vertici, Giorgia e i suoi lamentano.
«Il problema di tutta questa vicenda è che in realtà ci sia qualcuno che voglia sperimentare l'idea di mantenere in piedi l'attuale coalizione. A ogni costo. Pensando che l'unico modo per arginare la Meloni sia quello di continuare a governare col Pd e i 5Stelle. E qui l'errore è madornale».

La lista unica per le Politiche avrebbe già un nome papabile: Prima l'Italia. Con un nome così ci stareste?
«Ripeto: per carità! La cosa non toccherebbe minimamente Fratelli d'Italia. Toccherebbe, e molto, i berlusconiani e i liberali. Dovrebbero prendere il nome da una maglietta di Salvini...».

Sarà la corsa al Quirinale a stabilire il tasso di maturità della coalizione ritrovata?
«Capito? Invece di fare tutte queste manfrine, l'obiettivo che dovrebbe darsi il centrodestra è rafforzarsi per raggiungere la maggioranza necessaria per eleggere il capo dello Stato. Questo sarebbe un centrodestra che guarda avanti. Per questo è incomprensibile quello che stanno facendo Salvini e Berlusconi. Dovrebbero unire, non dividere».

Il nome sul quale unire, per il Colle, ci sarebbe: Berlusconi. Ma qui lo scettico è lei.
«Io non dico che non possa essere Berlusconi. Ma assolutamente: il Cavaliere otterrebbe di certo i voti di tutto il centrodestra ma avrebbe problemi ad andare oltre quel confine. Dico che Berlusconi - il cui governo è stato messo in crisi dallo spread - potrebbe incontrare ostacoli, suo malgrado, se occorresse supporto sui tavoli internazionali, finanziari, con la Bce che fa la furba e i Paesi del Nord che faranno di tutto per metterci in difficoltà. Però forse è solo una mia eccessiva prudenza».

L'unico che potrebbe corrispondere al suo identikit è Draghi.
«Ma no, ce ne sono anche altri e forse su Berlusconi sbaglio io perché sono scottato dal 2011. Ma Draghi certamente potrebbe».

 

 

Eppure c'è chi vocifera di grandi manovre per scomporre il centrodestra proprio in vista dell'occasione d'oro...
«Se la coalizione dovesse franare sul Quirinale sarebbe morta. Se fosse così stupida da scomporsi sul nome dell'inquilino del Colle, avendo questa volta la possibilità di indicarlo, il centrodestra non meriterebbe più nemmeno il voto di uno come me. Sarebbe un atto di ottusità politica clamoroso».

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