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Mario Draghi, voglia di Quirinale: le parole di mercoledì che svelano l'ambizione del premier

Fausto Carioti
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Chi crede che Mario Draghi non abbia alcun interesse a essere il prossimo presidente della repubblica avrebbe dovuto sentirlo mercoledì, dopo la presentazione del portale dedicato a Ugo La Malfa, alla quale aveva partecipato assieme a Sergio Mattarella. Sino a pochi minuti dal termine, l'evento è andato come era facile prevedere: tanti elogi per il de cuius e inevitabili richiami, più o meno credibili, all'attualità del suo pensiero. Draghi è stato tutto il tempo sul palco e, quando ha preso la parola, ha ricordato La Malfa come «convinto atlantista ed europeista», preoccupato per ciò che accade quando si smette «di dare continuità alla modernizzazione del Paese». Nessun riferimento, ovviamente, alle volte in cui il segretario del Pri frenò lo sviluppo dell'Italia (celebre il suo emendamento del 1967, che fece slittare di cinque anni l'introduzione della tv a colori). Tutto secondo copione, insomma, finché non ha parlato Giorgio La Malfa. 

 

Il figlio di Ugo ha fatto un lungo elogio di Draghi e Mattarella, per arrivare alla conclusione che debbono restare dove sono adesso: «Auguro a tutti noi, ma soprattutto all'Italia, che agli artefici di questa svolta venga dato tutto il tempo necessario ad assicurare che davvero questa ripresa sia non una fiamma passeggera, ma l'inizio di un secondo miracolo economico». Mattarella detesta l'insistenza di chi lo vuole imbullonare a quella scrivania, però c'è abituato. Ha incassato con democristiana pazienza e il giorno dopo, commemorando Giovanni Leone, è tornato a caldeggiare «la non rieleggibilità del presidente della repubblica». Meno stoica la reazione di Draghi, il quale ha giudicato inopportuna l'uscita di La Malfa, e lo ha confidato poco dopo, infastidito, ai suoi interlocutori. 

 

Tutto mi aspettavo - è stato il suo ragionamento - tranne che la mia presenza fosse ricambiata con un pubblico consiglio non richiesto su ciò che devo o non devo fare. C'è un motivo, insomma, se il premier non ha mai respinto l'ipotesi di diventare capo dello Stato, evitando di dare una risposta chiara ogni volta in cui la domanda gli è stata posta, ed è il rispetto che nutre per Mattarella, unito alla consapevolezza che chi entra papa in conclave ne esce cardinale. Draghi, però, non smania per rimanere a palazzo Chigi, e tantomeno respinge l'idea di traslocare al Quirinale. A maggior ragione nell'anno che precede le elezioni, quando trattare con i partiti sarà ancora più difficile e il governo rischia davvero d'impantanarsi, compromettendo pure l'immagine di chi lo guida.

 

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