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Ucraina, la sinistra ha disarmato l'Europa con la scusa del pacifismo? E oggi siamo costretti a pagare

di Alberto Busacca mercoledì 2 marzo 2022

3' di lettura

L'Europa si riarma. Segno che, in precedenza, qualcuno l'aveva disarmata. La svolta, un po' a sorpresa, è arrivata qualche giorno fa durante un discorso al Bundestag del cancelliere tedesco Olaf Scholz. Il quale, con molta serenità, ha spiegato che proporrà l'istituzione di un «fondo speciale» da «cento miliardi di euro» per modernizzare l'esercito di Berlino e aiutare l'Ucraina e la Nato a «combattere» contro la Russia di Putin. Non solo. Scholz ha pure detto che da adesso in avanti verrà destinato più del 2% del Pil per la difesa strategica. Certo, cento miliardi di euro buttati sul piatto in un colpo solo fanno una certa impressione. Ma si sa che i tedeschi fanno le cose sul serio. Il punto però è un altro: la necessità di un investimento così significativo rivela che le forze armate tedesche non sono messe poi così bene. Insomma, anche il proverbiale soldato tedesco ha i suoi problemi...

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I guai, naturalmente, non sono iniziati ieri. In Germania la situazione dell'esercito la conoscono bene. E c'è un politico, in particolare, che è finito sul banco degli imputati. Chi è? Bè, si tratta della persona che ha ricoperto il ruolo di ministro della Difesa dal 2013 al 2019, cioè l'attuale presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Analizzando i dati delle spese militari in rapporto al Pil, si nota subito che durante la sua gestione la Germania era parecchio lontana dall'obiettivo del 2%, oscillando, nei primi anni, tra l'1,19% del 2014 e l'1,25% del 2018. Solo nel 2019 le cose sono andate un po' meglio, arrivando all'1,36% (dato comunque non esaltante).

DIVISE PRE-MAMAN - Al di là dei numeri, in ogni caso, ad essere parecchio criticata dai tedeschi è stata la gestione complessiva della von der Leyen, accusata di occuparsi poco di cose concrete per concentrarsi su questioni più "ideologiche", come le divise pre-maman per accompagnare le dipendenti delle forze armate durante il periodo di servizio in gravidanza (in Germania ci sono 20mila soldatesse e circa il 2% rimane incinta nel corso del servizio). Secondo un sondaggio del 2019 della Bild am Sonntag, prima di essere eletta presidente della Commissione europea Ursula era il secondo ministro meno popolare in Germania, mentre un deputato del suo stesso partito, la Cdu, si confidò col Financial Times: «È una buona notizia per l'esercito che se ne stia andando», perché «i suoi anni al ministero sono stati davvero duri per le forze armate».

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Per rendersene conto bastano i dati pubblicati dall'Agi sempre nel 2019: «Le fregate della nuova classe F-125 non sono state consegnate perché solo 5 su 13 hanno superato il collaudo in mare. L'ultimo sommergibile rimasto in servizio è stato ritirato per riparazioni. Gli altri erano già tutti in attesa dei pezzi di ricambio. Su 109 aerei da combattimento Typhoon a disposizione, nel 2015 solo 42 risultavano pronti all'impiego a causa dei problemi di manutenzione. Su 89 bombardieri Tornado, appena 38 erano operativi. Per quanto riguarda gli elicotteri, solo 12 dei 62 Tiger e 16 dei 72 CH-53 potevano essere utilizzati perle esercitazioni».

SPENDING REVIEW - Dalla Germania all'Italia. Dove, come prevedibile, non è che la situazione cambi molto. Anche da noi, al momento, l'obiettivo è quello di arrivare a investire nella Difesa il 2% del Pil. Ma per molti anni non ci siamo andati nemmeno vicino. Nel recente passato i problemi sono arrivati in particolare con la spending review voluta da Mario Monti nel 2012, che ha riguardato anche le spese militari e ha condizionato i bilanci fino al 2015, coinvolgendo quindi anche il governo di Enrico Letta (in carica dal 28 aprile 2013 al 14 febbraio 2014). Nel 2014 e nel 2015, per capirsi, alla Difesa è stato destinato rispettivamente l'1,14 e l'1,07% del Pil. Poi, lentamente, la risalita, fino ad arrivare all'1,41% del 2021. Draghi, però, non ha intenzione di fermarsi qui... 

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