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Sergio Mattarella, l'Anpi e l'Ucraina: il presidente prende a schiaffi i partigiani filo Putin

Gianluca Veneziani
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Fanno più male gli schiaffi, quando arrivano non dai nemici di sempre o dai compagni che all'occasione si rivelano coltelli, ma quando giungono direttamente dai vertici dello Stato, da chi è super partes e non "partigiano". Fanno più male perché sono manate assestate indossando guanti gialli, come sempre avviene nella prassi istituzionale, e di primo acchito possono sembrare pacche bonarie o addirittura carezze. E invece sono le sberle che lasciano le tracce più profonde e più dolorose.
Perciò deve aver ricevuto una bella botta ieri il presidente dell'Anpi Gianfranco Pagliarulo, quando ha sentito le parole pronunciate dal capo dello Stato Mattarella in occasione dell'incontro con le associazioni combattentistiche e d'Arma in vista dell'anniversario della Liberazione.

 

 

 

 

RETORICA SMENTITA - Tutta la retorica alimentata in questi giorni dall'associazione dei partigiani, col no all'invio delle armi a Kiev, con le posizioni a dir poco critiche nei confronti dell'Alleanza Occidentale, da cui il no alle bandiere Nato alle manifestazione del 25 aprile, e con dichiarazioni ambigue sulla guerra che hanno fatto sospettare un atteggiamento di equidistanza, è stata smontata, anzi stroncata, grazie a pochi ed efficaci concetti sciorinati dal capo dello Stato.
Il primo è che il pacifismo sterile si risolve in arrendevolezza e spesso in sconfitta: la pace, 77 anni fa come oggi, va conquistata con le armi, combattendo. In nome del parallelismo tra la Resistenza partigiana e la resistenza degli ucraini (analogia, anche questa, rifiutata da Pagliarulo), Mattarella avverte che nel 1943-45 ci fu una «rivolta in armi contro l'oppressore.
Rivolta che fu morale, e poi difesa strenua del nostro popolo dalla violenza che veniva scatenata contro di esso». Insomma, serviva un «popolo in armi per affermare il proprio diritto alla pace dopo la guerra». Chiaro, Pagliarulo? Anche perché, continua Mattarella, è vero che «dal nostro 25 aprile viene un appello alla pace», ma «alla pace, non ad arrendersi di fronte alla prepotenza»...
Detto ciò, l'affondo più forte riguarda la colpevole e complice indifferenza manifestata da alcuni (a buon intenditor...
) verso la vita degli ucraini, come dimostrano le tesi di chi non vuole sostenere la loro lotta armata. Qui il capo dello Stato non va per il sottile, anzi picchia duro: la Seconda guerra mondiale, sostiene, fu «un'esperienza terribile, che sembra dimenticata, in queste settimane, da chi manifesta disinteresse per le sorti e la libertà delle persone». Essere indifferenti verso gli ucraini significa spesso avere atteggiamenti equivoci che portano a giustificare le ragioni dell'aggressore, in nome di presunti torti da questi subiti in passato. Mattarella lo sa e afferma con forza: «L'attacco violento della Federazione Russa al popolo ucraino non ha alcuna giustificazione. La pretesa di dominare un altro popolo, di invadere uno Stato indipendente, ci riporta alle pagine più buie dell'imperialismo e del colonialismo».
Nessuna giustificazione: da ripetere a memoria queste parole, nelle stanze dell'Anpi.

 

 

 

 

FRATTURE INTERNE - Che fare, allora, di fronte all'invasore? Barricarsi in un irenismo sterile, ideologico e anutolesionista, sperando che il Grande Cattivo si ravveda, o tentare di assecondarlo? Rivendicare l'irripetibilità dell'esperienza resistenziale onde avere la scusa per non schierarsi? No, questa è la ricetta dei vili, non dei combattenti. Lo ricorda ancora Mattarella: oggi serve «lottare contro la sopraffazione in aperta violazione del diritto internazionale». Le sue parole sono state talmente sferzanti da mettere in luce le fratture interne all'Anpi, e cioè le resistenze all'attuale custode della Resistenza. Ecco che allora la vicepresidente dell'associazione dei partigiani, Albertina Soliani, sconfessa la linea di Pagliarulo e afferma di essere «assolutamente in sintonia con le parole di Mattarella. La sua è una profondissima riflessione che condivido. Per questo sostengo che vada riconosciuta la Resistenza ucraina». Parliamo della stessa vicepresidente che nei giorni scorsi aveva definito «inadeguate» le frasi di Pagliarulo, ricordando che «l'Anpi dovrebbe esprimersi diversamente» e che è giusto sostenere militarmente gli ucraini perché «anche i partigiani hanno usato le armi». Nel dramma della guerra vera c'è anche una guerra dialettica, politica e grottesca tra partigiani. A conferma che a ogni tragedia segue una farsa. E che anche i partigiani non sanno più da che parte stare. E quali pesci pigliare. A cominciare da Pagliarulo.

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