Ad alzo zero

Mario Draghi, Fausto Bertinotti: "Chi è davvero, come prende le decisioni"

Francesco Specchia

Nel suo fascinoso rotacismo, con la sua erre moscia di mille battaglie, Fausto Bertinotti evoca dall'eremo umbro una stagione di fantasmi. La "politique policienne" non gli interessa più, ufficialmente. Eppure, alla nascita, di un ennesimo campo largo a sinistra ha un sussurro. Un sussurro morbido. Anche i pensieri, articolatissimi, sono al cashmere, nonostante la calura.

Caro Bertinotti da un lato si staglia un centro moderato ai limiti dell'ammucchiata, dall'altro il mitico campo largo della sinistra annunciato e mai realizzato. Che succede?
«Succede che, sostanzialmente, stiamo assistendo ad una destrutturazione di un sistema politico in putrefazione».


Ah, proprio ci va col piumino di cipria...
«Le spiego. Dopo la crisi delle alternanze centrodestra-centrosinistra e berlusconismo-antiberlusconismo c'è stata, di fatto, la scomparsa della politica. Il sistema s' è nullificato ed è finito sotto l'ala di un governo tecnocratico che decide tutto, ora anche sulla guerra».

Ma che c'entra, questo, scusi, col "Centro"?
«C'entra. Di fronte a questa roba qui i nostri politici galleggiano e si occupano di cose inessenziali, marginali se non insignificanti, come la ricerca del "Centro". Che poi la domanda vera non è "chi va verso il centro?", ma "che cos' è, che cosa davvero vuol dire Centro?". Non è certo, ora il luogo dove si neutralizzano i conflitti, semmai come l'indicazione di quelli che vogliono governare».

Cioè: si pensa solo alla poltrona senza un progetto. O meglio col progetto di un Draghi sempre in sella con un suo partito trasversale alle spalle?
«Guardi. Draghi è la risposta del sistema economico all'inefficacia della politica. Ma non credo che gli importi il destino del centro o di chicchessia. Draghi è la potenza di governo, e prende le sue decisioni a prescindere, gli altri sono contorno. Io non sono affatto d'accordo con lui, ma lei si ricorda un vero discorso politico, in Parlamento, che non sia quello di Draghi? Il peso politico degli altri è inesistente davanti al Draghi sovrastante».

Tornando all'alleanza che fa la forza. Anche voi di Rifondazione Comunista, in fondo, però, eravate nella compagine governativa di Prodi, ma poi è saltato tutto. O no?
«Diciamo le cose come stanno. Siamo noi ad aver fatto saltare tutto. Non scherziamo. Mi dica lei se conosce un altro partito che, dal governo, fa esplodere il banco, perché il presidente del Consiglio nonché capo della propria coalizione di centrosinistra divarica la coalizione stessa, proiettandosi verso Maastricht. E in quel caso la nostra uscita fu drammatica, una lacerazione profonda che si ricorda nei libri di storia, che veramente attraversò tutto il Paese».


Non esistono più i comunisti di una volta.
«Una volta c'era la politica seria, c'era il Pds, c'eravamo noi di Rifondazione che a sinistra prendevamo l'8% quando ancora c'era la sinistra, c'era Berlusconi che era riuscito a riorganizzare la destra. C'era un sistema di contrappesi, uno spessore diverso».


E ora?
«Ora la sinistra qui, in Italia, non esiste. A patto di porsi in opposizione a questo tipo di governi promanati dalla Ue. Non vedo in Letta un leader di sinistra. Non so lei».


Non la seguo molto. La sinistra realizza sé stessa solo in quanto opposizione ai premierati continentali benedetti dall'Europa? Non è un tantino scontato, un discorso nostalgico marxista? «No. Per semplificare, prendiamo la Francia: lì, dopo le elezioni presidenziali e amministrative è rinata la politica, poiché è rinata la dialettica politica tradizionale nella tripartizione: tra sinistra antagonista, centro e destra. E la sinistra fa il botto nella misura in cui è davvero antigovernativa. E lì è tutto ben chiaro: se dici Melenchon ti vengono in mente salario minimo, ecologia, lavoro; se dici Macròn ti viene in mente il governo; se dici, Le Pen, beh...».

Non la sento molto ottimista sul futuro.
«Da noi in Italia pare impossibile che ci sia autorità quando si parla di mandare armi a Kiev, mentre manca completamente su una cosa elementare come il salario minimo. Su cui, tra l'altro, l'alta burocrazia Ue si è espressa molto più favorevolmente rispetto agli stati membri. E il destino è inesorabile: i dati sul precariato, sull'occupazione, sul disagio sociale, sull'industria parlano chiaro. Non vedo, a dire la verità, nuovi scenari...».