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Meloni, Salvini e Berlusconi, "già deciso il candidato premier". Come finirà

Pietro Senaldi
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Le dimissioni di Draghi e il conseguente scioglimento delle Camere hanno mandato fuori giri la sinistra, che si dice terrorizzata dal populismo quando invece lo è dal voto popolare. In realtà il principale responsabile politico della caduta del governo è il Pd. Letta aveva un socio, il leader dei M5S, Conte, e l'ambizione dichiarata di cooptarlo in un campo largo progressista per le elezioni del 2023. Solo che ha passato l'ultimo anno a fiaccarlo e staccargli pezzi di partito, stringendolo sempre più all'angolo, finché questi non è sbottato, votando contro il governo in sede di approvazione del termovalorizzatore di Roma, provvedimento fatto inserire forzosamente dal Pd nel decreto Aiuti e che M5S per ragioni identitarie non poteva accettare.
Si è aperta così la crisi e, come raccontato perfino da Renzi, i dem hanno cercato di risolverla proponendo a Draghi un governo con loro, i grillini e una parte di Forza Italia e forse pure della Lega, ma rigorosamente senza Salvini. Letta è andato a proporlo di persona, a tu per tu, a Draghi prima del suo discorso decisivo in Senato. A quel punto il centrodestra ha fiutato la trappola e si è staccato. Solo che, a differenza di quanto previsto dal Pd, Berlusconi e Salvini sono riusciti a serrare le fila e il centrodestra ha perso solo i ministri azzurri, che di fatto erano gia passato da un pezzo dall'altra parte.

EREDI MORALI? - Ora che la loro strategia è fallita, i dem accusano il centrodestra di aver mandato a casa il numero uno e attaccano a testa bassa, agitando i fantasmi del fascismo, dell'antieuropeismo, del putinismo, dello spread, dell'inevitabile fallimento del Paese. Siamo arrivati al punto che coloro che hanno creato le premesse perla caduta di Draghi ora si presentano alle elezioni come i suoi eredi morali, senza peraltro che l'interessato li abbia autorizzati a farlo. Portano la serietà e la competenza del premier come un vessillo, che copra la loro mancanza di unità, capacità, affidabilità.
La realtà è che sono disperati e divisi, non sanno neppure con quale assetto presentarsi alle elezioni, però i loro giornali e parlamentari continuano a speculare sulle divisioni del centrodestra, ingigantendone le difficoltà. Si è letto che la Meloni valuterebbe di correre da sola, che ci sarebbe un violento scontro in atto sulla leadership della coalizione, che già ci si starebbe azzannando sulla spartizione dei seggi.
Lo stato delle cose è tutt' altro. Berlusconi e Meloni hanno già avuto un incontro privato per riavvicinare le distanze che ha dato buoni esiti e la prossima settimana si incontreranno anche con Salvini per iniziare a preparare il voto.
Sul fronte Lega, tanto i governisti quanto i governatori si sono riallineati a Salvini, che ha colto l'occasione del voto anticipato per ricompattare dietro a sé il partito. Quanto a Forza Italia, le uscite erano messe in conto da tempo. Si consideri che nel bollettino interno del partito le dichiarazioni dei ministri e dei loro adepti venivano ormai riportate dopo quelle dei capigruppo, dei coordinatori e finanche dei parlamentari, a dimostrare quanto Brunetta, Gelmini e Carfagna fossero di fatto già considerati alla stregua di elementi esterni.
Quanto ai criteri perla distribuzione dei seggi, il centrodestra ha un schema consolidato da 25 anni che prevede una media ponderata tra i risultati avuti dai singoli partiti alle ultime Politiche, gli esiti dei tre sondaggi più recenti e l'andamento delle elezioni di medio termine. È un calcolo matematico che lascia poco spazio a polemiche e impuntature. Altra questione ingigantita dagli avversari è quella dell'indicazione del premier. Essa non ci sarà, per non regalare agli avversari un bersaglio contro il quale accanirsi, e per non alterare la competizione tra i partiti, destabilizzandoli.

 

CHI HA PIÙ CONSENSI... - La prassi prevede che il partito che il 25 settembre avrà avuto più voti indicherà il premier, sottoponendolo all'approvazione degli alleati. Questo hanno ribadito sia la Meloni sia Salvini, mentre Berlusconi ha parlato di un'assemblea degli eletti, che altro non sarebbe se non una diversa procedura per arrivare al medesimo risultato. Chi afferma che dietro questa formula il Cavaliere nasconda la propria ambizione di tornare a Palazzo Chigi avvelena i pozzi sapendo di mentire, come chi sostiene che, in caso arrivasse prima, la Meloni farebbe il diavolo a quattro e non accetterebbe altre soluzioni se non la propria investitura. Tanti sono invece i premier papabili della coalizione, a dispetto di chi afferma che il centrodestra non avrebbe un'adeguata classe dirigente. Nomi alla mano, ha invece più soluzioni della sinistra, che in mancanza di generali propri sta cercando di far credere al Paese di aver arruolato Draghi, o che questi si stia appoggiando a lei. Cosa che l'interessato si è affrettato a smentire con decisione.

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