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Mario Draghi, "quelli che nella Bce e dagli Usa...": chi sono i veri killer

 Mario Draghi

Gianluca Veneziani
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Si può dire che il professor Giulio Sapelli, noto economista, sia stato buon profeta. Lo scorso anno ha dato alle stampe il libro, scritto insieme a Lodovico Festa, Draghi o il caos (Guerini e Associati) in cui avvertiva: «Nemmeno una personalità della levatura di Draghi arresterà il disfacimento della nostra democrazia se non ci sarà un ritorno alla discussione pubblica, cioè alla politica».

Professore, la caduta del governo ha segnato una rivincita della politica e quindi della democrazia?
«È stata una rivincita, nel senso che la politica ha sconfessato il mandato dato da Mattarella a Draghi. Era impossibile portare a termine un governo senza formula politica che però si fondava sui partiti politici e sulla loro debolezza: un anno e mezzo fa, gli stessi partiti che avevano votato per diminuire la loro rappresentanza parlamentare erano disposti a tutto pur di rimanere in Parlamento e pertanto avevano accettato Draghi. Un governo nato così, in modo caotico, non poteva che finire nel caos.
Anzi via via che aumentava il caos, cresceva anche la sua incapacità di gestirlo. La verità è che, come sostenevamo io e Festa nel libro, Draghi avrebbe dovuto fare il presidente della Repubblica: era l'unico modo per valorizzare la sua ascendenza sui mercati e garantire stabilità al Paese».

Draghi si è autoeliminato perché deluso dal non essere salito al Colle, o per non affrontare l'autunno caldo, per ambire a una poltrona alla Nato, o perché stanco, come sostiene Berlusconi?
«Una visione di questo tipo, cospirativa e psicologistica, non spiega nulla. Draghi è entrato anche lui nel caos perché privato degli appoggi internazionali: quando, insieme a Francia e Spagna, ha elaborato l'accordo con cui si apprestava a negoziare sia con la Russia che con l'Ucraina, è stato sconfessato duramente dall'influente politologo americano Ian Bremmer, che lo ha richiamato a una visione più atlantista, dato che gli Usa non vogliono la negoziazione. E Bremmer non avrebbe mai detto ciò senza l'assenso del segretario di Stato Blinken e di Biden. Draghi quindi è entrato in contraddizione con l'anglosfera a cui ha sempre fatto riferimento e che era stata la carta più forte che aveva spinto Mattarella a chiamarlo per quell'incarico.
La causa della sua caduta va trovata in primis nella sottrazione di legittimità che l'anglosfera gli ha fatto».

 



 

Ci sono state altre forme di delegittimazione internazionale?
«Sì, Draghi è stato colpito da forze ben più grandi di lui. La stessa Bce, pur continuando le politiche draghiane del whatever it takes con l'acquisto dei titoli di Stato, per altri versi ha sconfessato Draghi: ha fatto una politica di aumento del costo del denaro, contraddicendo quella dell'ex governatore della Bce, e pure lo scudo anti-spread appena varato è pieno di vincoli che Draghi non sarebbe mai riuscito a imporre al Parlamento. Quello della Bce è un implicito cartellino rosso al nostro premier uscente, che si fonda anche su ragioni politiche. La Bce aveva paura della maggioranza troppo eterogenea che appoggiava Draghi: la scissione dei 5 Stelle, favorita dallo stesso presidente del Consiglio, ha lasciato sbalorditila Bce e i mercati internazionali che non vogliono frammentazione. Quella mossa di Draghi è stata un autodafé incredibile, un atto di un'ingenuità politica enorme. Pari a quella del suo discorso al Senato che sarà ricordato negli annali della costituzionalità come uno sfregio al Parlamento e che avrebbe meritato un richiamo del capo dello Stato».

Giornali e partiti di sinistra hanno gridato all'allarme per la fine del governo Draghi, parlando di «tempesta perfetta». Mala Borsa italiana non sprofonda, lo spread è sotto controllo. La tempesta è finita in un bicchiere d'acqua?
«Nessuno ha interesse a mollare l'Italia. Questa drammatizzazione è scientificamente sbagliata. Le Borse tengono, il Paese ha un avanzo primario e continuerà ad averlo nonostante l'enorme debito pubblico, i risparmi degli italiani sono fortissimi, l'industria manifatturiera va avanti. Chi ha interesse a fare questo terrorismo sono alcuni partiti, visto che siamo già entrati in campagna elettorale, e tra di essi diversi fautori di Draghi. Ma Draghi non ha bisogno di essere apprezzato o rimpianto attraverso scenari da tragedia».

Gli stessi giornali e partiti temono che non si riesca a fare la legge di stabilità e si rischi l'esercizio provvisorio. Timore infondato?
«Certamente, abbiamo tutti i tempi tecnici per fare la Finanziaria. L'accelerazione di Mattarella sui tempi delle elezioni ha appunto due ragioni: più si va veloci nel fare un nuovo governo più potrebbe durare l'effetto Draghi, e poi c'è appunto la legittima preoccupazione che si possa fare la legge di stabilità».

 



 

Si riuscirà anche a portare avanti il Pnrr senza rallentamenti?
«I veri intoppi al Pnrr sono nelle politiche neoliberiste del patto di stabilità che hanno cestinato i dipendenti pubblici, eliminato le province e indebolito le regioni. Draghi è del tutto ininfluente nella partita del Pnrr né poteva risolvere da solo e in pochi mesi il dramma della burocrazia italiana. Non è mica il Mago Zurlì o l'Uomo della Provvidenza, anche se qualcuno da noi lo ha creduto.
E comunque non c'è alcun rischio che non ci arrivi la nuova rata del Pnrr: l'Ue ci darà i soldi perché ha interesse a non portare al disastro l'Italia che è una grande potenza economica europea».

Riusciremo anche ad affrontare la crisi energetica?
«La soluzione non deve essere il tetto al prezzo del gas: il price cap non lo vuole nessuno. Né si può dirigere una crisi con metodi sovietici come fa l'Ue: la von der Leyen è il nuovo Stalin che vuole imporre misure dall'alto. Sono invece i Paesi e i mercati che devono decidere queste cose. La crisi energetica si risolve se, oltre a cercare nuovi fornitori, sfrutteremo a pieno l'enorme potenziale di petrolio e di gas di cui disponiamo. Del resto, noi utilizziamo i fossili in modo assolutamente ecologico, e possiamo usare in modo green anche il carbone. In più abbiamo l'idrogeno».

Crede che mercati e Ue daranno segnali contro la possibile vittoria del centrodestra in Italia?
«Guardi, i vertici dei mercati sono molto più intelligenti di chi interpreta le loro possibili conseguenze. I mercati sono bipartisan e cercano sempre di adeguarsi alle situazioni. Bruxelles a sua volta recepisce da sempre tutti quelli che sono stati eletti: le burocrazie europee, per quanto criticabili, sono molto attente a evitare ogni scontro frontale con i Paesi. Né i mercati né l'Ue, insomma, temono la vittoria del centrodestra».

Intanto però sulla stampa nostrana si leggono articoli pieni di paura per un ritorno di populisti e sovranisti.
«Bisogna avere paura del fascismo, dello stalinismo e del nazismo. E non mi sembra che questi tre mostri siano davanti a noi».

Com'è la situazione a sinistra? Sarà fallimentare il tentativo di seguire e sfruttare l'agenda Draghi?
«La sinistra non esiste più. L'unico personaggio di sinistra in Parlamento è Stefano Fassina. Quanto al Pd, dovrebbe reinventarsi un progetto che sia dalla parte dei deboli, non seguire l'agenda Draghi, che non pagherà a livello elettorale».

I 5 Stelle sono destinati a scomparire insieme a Conte?
«No, sono una mucillagine peristatica, destinata all'eterno ristagno. Si ridurranno, ma non scompariranno. Conte invece non è 5 Stelle, viene da un altro ramo della politica internazionale, quello asiatico: sopravvivrà in una delle trasformazioni dei grillini».

Lei per chi voterà? E accetterebbe un incarico da premier, visto che la sua figura era stata accreditata nel 2018 come potenziale guida di un governo gialloverde?
«Il voto è segreto. Di certo, non accetterei nessun incarico né da parte del centrodestra né del centrosinistra. Anzi, le confido una cosa: nel 2018 ho fatto di tutto per non essere nominato».

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