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Marco Damilano? Il solito vizio della sinistra: delegittimare l'avversario

di Francesco Carella mercoledì 21 settembre 2022

3' di lettura

Vi è un filo rosso che attraversa la storia italiana dall'Unità ad oggi, ovvero la delegittimazione dell'avversario politico soprattutto in occasione delle competizioni elettorali. Si preferisce inquinare il dibattito pubblico piuttosto che assicurare un confronto-scontro su argomenti razionali, per consentire al cittadino elettore di elaborare un autonomo e realistico orientamento di voto. È precisamente ciò che è accaduto nei giorni scorsi, dopo che dagli Stati Uniti è trapelata la notizia secondo cui la Russia di Vladimir Putin avrebbe finanziato alcuni partiti in oltre 20 Paesi occidentali. Notizia, fin da subito, priva di riferimenti alle forze politiche italiane, ma ciononostante la sinistra ha subito avviato una campagna di sospetti e di veleni in direzione del centrodestra. Ora al di là della vicenda internazionale, la riflessione da fare riguarda il costume politico del nostro Paese segnato dal tentativo di screditare in tutti i modi possibili il diretto avversario, senza mai trascurare di tirare in ballo il vecchio argomento secondo cui l'Italia rischierebbe una replica del fascismo.

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Il tema, ormai stucchevole, non è nuovo. Oggi il pericolo è rappresentato da Giorgia Meloni, come ieri da Matteo Salvini e da Silvio Berlusconi. Nel 1994 all'indomani della vittoria di quest' ultimo si giunse, nel corso di un convegno antifascista, a stilare un documento in cui si parlava del governo del centrodestra sostenuto, in punta di Costituzione, da una regolare maggioranza parlamentare come di "un regime totalitario dietro un'apparente vetrina democratica". Una divisività a tal punto distruttiva trova ragione nel fatto che non si è mai riusciti a creare in Italia un clima tale da collocare le diverse famiglie politiche entro una cornice istituzionale accettata da tutti come un imprescindibile bene comune. In tal senso, resta preziosa l'analisi dello storico Massimo L.

Salvadori, quando scrive che «tutte e tre le forme di regime che l'Italia ha conosciuto liberale, fascista e democratico repubblicano. Devono la loro origine ad una guerra civile che ha mescolato in diversa combinazione, la lotta delle armi con quella dei valori, delle ideologie e degli interessi, opponendo in maniera irriducibile forze aventi concezioni dello Stato e dei rapporti sociali antitetiche. Ogni volta che una delle parti ha assunto nelle proprie mani il controllo dello Stato, la classe dirigente non è mai riuscita ad ottenere il riconoscimento da parte delle forze di opposizione, per cui il rapporto fra di essi ha assunto un carattere di reciproca negazione. 

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I governanti non hanno riconosciuto la legittimità dell'opposizione antisistema e quest' ultima a sua volta non ha mai riconosciuto lo Stato considerato proprietà della classe dirigente». Del resto limitandoci alla storia della Repubblica per il Partito comunista italiano (finanziato dall'Unione Sovietica, come appurato dopo l'apertura degli archivi di Mosca, a suon di miliardi di lire all'anno ) lo Stato altro non era che un "comitato d'affari della borghesia". A questo punto la domanda da porsi è : quanto tempo ci vorrà affinché anche in Italia l'antagonista politico smetta di essere considerato un pericoloso nemico della democrazia ? A giudicare dai comportamenti che la sinistra continua ad assumere si ricava la sensazione che quella che è stata chiamata "guerra civile latente" sia destinata a proseguire. Con gravi danni per la vita democratica del Paese.

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