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Così la sinistra ha rovinato l'Italia: le carte, conto da 40mila euro a famiglia

Fausto Carioti
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Il governo di Mario Monti si insediò il 16 novembre del 2011, quello di Giorgia Meloni è entrato in carica il 22 ottobre del 2022. Poco meno di undici anni separano le due date, durante le quali il Partito democratico, assieme ai suoi alleati, è stato al governo per 3.531 giorni, l'equivalente di nove anni e otto mesi. In questo periodo il Pd ha avuto tre presidenti del consiglio provenienti dalle proprie file: Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Oltre a due ministri dell'Economia (Pier Carlo Padoan e Roberto Gualtieri) e due ministri del Welfare (Giuliano Poletti e Andrea Orlando), e a una pletora di tecnici (Fabrizio Saccomanni, Elsa Fornero...) le cui idee non erano certo distanti da quelle del partito del Nazareno. È possibile, quindi, valutare l'efficacia delle politiche messe in atto dalla sinistra per combattere la povertà, vedendo come stavano gli italiani all'inizio del lungo percorso che l'ha vista occupare quasi ininterrottamente i ruoli più importanti dell'esecutivo, e confrontando la situazione di allora con quella attuale.

 

 

 


Due numeri già spiegano molto. Il primo è relativo al 2011, anno nel quale l'Istat ha certificato che in Italia c'erano 2,65 milioni di poveri assoluti, ossia individui che vivono in famiglie che non possono spendere la cifra mensile minima per acquistare i beni e i servizi necessari alla semplice sussistenza, il cui costo varia nelle diverse zone d'Italia. Il secondo numero è 5,57 milioni: sono gli italiani fotografati nella stessa triste situazione dall'ultimo rapporto Istat, relativo all'anno 2021. Numero pressoché identico a quello del 2020. In altre parole nel nostro Paese, nel giro di undici anni, il numero dei poveri-poveri è più che raddoppiato. Così, se nel 2011 la povertà assoluta riguardava il 4,4% degli italiani, nel 2021 la quota era salita al 9,4%. Il Covid-19 c'entra sino a un certo punto: già nel 2018, l'anno in cui iniziò la diciottesima legislatura, con l'economia regolata dalla legge di bilancio firmata da Gentiloni e Padoan, l'istituto di statistica contava 5,04 milioni di italiani in povertà assoluta, pari all'8,4% del totale dei residenti nel nostro Paese. Il decollo della miseria era già iniziato, l'epidemia ha peggiorato una situazione già grave.

 

 

 


ALIMENTARI E BOLLETTE

Colpa, innanzitutto, degli aumenti dei prezzi dei generi di prima necessità e dei rincari delle bollette, e di un'economia sempre stagnante: se non si produce ricchezza, non la si può nemmeno redistribuire. A pagare il prezzo più alto, come sempre, le famiglie più numerose e con figli minori a carico. In parallelo è aumentata la cosiddetta povertà relativa, ovvero la percentuale delle famiglie in cui due persone possono spendere meno di quanto spenda, in media, un solo italiano. Nel 2011 questo problema riguardava l'11,2% delle famiglie: nel 2015 la quota era salita al 15% e nel 2021 è stata pari al 14,8%. Alcune categorie hanno perso terreno più di altre. Nel 2011 il reddito medio delle famiglie la cui fonte di guadagno principale è il lavoro autonomo era pari a 40.518 euro. Per reggere il passo con l'inflazione, nel 2020 il loro reddito avrebbe dovuto essere pari a 43.233 euro: si è fermato invece a 43.059 euro.

 

 


 

IMMOBILI DEPREZZATI

Anche il patrimonio delle famiglie si è ridotto. Le serie storiche della Banca d'Italia stimano che nel 2010 (non esiste dato per il 2011) la ricchezza media delle famiglie italiane, al netto dei debiti, ammontava a 258.548 euro, e nel 2020, a parità di metodologia di calcolo, era scesa a 215.083, soprattutto a causa della perdita di valore delle attività reali (immobili e aziende). Non è una conseguenza della pandemia: nel 2016 il patrimonio familiare medio era addirittura inferiore, pari a 206.422 euro. È rimasta elevata la disuguaglianza, anzi è addirittura aumentata di un po'. Esiste un parametro statistico che la misura, si chiama indice di Gini e cresce con l'aumentare delle disparità: è pari a 0 se la ricchezza è distribuita in modo uniforme, 100 corrisponde alla massima disuguaglianza. Nel 2010, nell'Italia governata da Berlusconi, questo indicatore era pari a 35; nel 2020 era salito a 35,8. Pure in questo caso il Covid c'entra poco: lo stesso valore di 35,8 si era registrato nel 2016, segno che la ricchezza si era concentrata nelle mani di un minor numero di famiglie già prima dell'epidemia. 

 

 

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