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Centrodestra, il "patto" che fa impazzire il Pd: il retroscena

Corrado Ocone
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Fra le tante previsioni non avveratesi su quelli che per la sinistra dovevano essere i cento giorni della débacle italiana sotto la guida di incompetenti e “fascisti”, e che invece si sono dimostrati l’esatto contrario, sicuramente è quella che più farà “rosicare” i compagni.
Ci riferiamo all’auspicata divisione e lotta interna alla maggioranza di governo, alle spinte centripete che venivano date per sicure per l’azione congiunta di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, entrambi alla ricerca di una leaderchip “perduta”. Ovviamente questa previsione non si è avverata, emergendo anzi, fra le forze di maggioranza e all’interno stesso della compagine governativa, un’unità di intenti e politica così forte che in Italia francamente non si vedeva da tempo.

 

 

 


Di questa coesione se ne è avuta ieri prova anche visiva con la manifestazione unitaria di sostegno al candidato del centrodestra alle elezioni regionali del Lazio. L’alternarsi ordinato e festoso sul palco dell’Auditorium di via della Conciliazione a Roma dei vari leader e la kermesse tutta hanno infatti trasmesso il messaggio di una squadra vincente, convinta di quel che sta facendo e in piena sintonia con gli elettori e con il Paese. Eppure, di tranelli per spezzare questa unità, e portare allo scoperto le presunte “insanabili contraddizioni” presenti nella maggioranza, ne sono stati piazzati non pochi in questi mesi, non ultimo certo quelli afferenti al caso Cospito.

 

 

 

LE PRESSIONI

Si sono fatte pressioni prima sul ministro Nordio perché mettesse alla porta il suo sottogretario Delmastro e poi sulla stessa Meloni affinché costringesse alle dimissioni sia lui sia il suo compagno di partito Donzelli. Si è anche fantasticato di maldipancia leghisti; e si sono usate le parole di Tajani che rispondevano positivamente, a nome di Forza Italia, alla richiesta del premer di “abbassare i toni”, come una presa di distanza del partito di Berlusconi dai due deputati al centro delle polemiche. Scorrere le cronache di questi giorni di molti giornalisti parlamentari, tutti più o meno d’area, intenti a carpire parole “dissonanti” o ad immaginare dissidi interni al centrodestra, dà l’impressione di una sorta di ridicola “caccia al tesoro”. Il quale alla fine della battuta ha fatto trovare in mano ai cacciatori nulla più che un “pugno di mosche”.
D’altronde, anche sulla partita giocata da Nordio sulle intercettazioni si è fantasticato di dimissioni chieste al ministro dal premier, della frattura fra giustizialisti e garantisti che avrebbe fatto implodere il governo, e via discorrendo.
Non ha poi funzionato nemmeno il tentativo di dividere una Meloni “buona” da un Salvini “cattivo” che, alla ricerca di una “rivincita” personale e politica, avrebbe fatto una sorta di opposizione interna all’esecutivo bloccandone praticamente l’azione.

 

 

 

IL RUOLO DI MATTEO

Una falsità bella e buona che è stata contraddetta dalla stessa attività sia del ministro delle infrastrutture sia dell’intera squadra leghista al governo: pragmatica, concreta, realizzativa. Quanto poi all’Autonomia, si assicurava che Meloni l’avrebbe messa nel congelatore e rimandata alle calende greche, pur non di dare una soddisfazione alla Lega. Come sia andata a finire è sotto gli occhi tutti. La domanda che sorge spontanea è alla fine questa: perché la sinistra non prende atto della realtà, cioè di un governo unito e forte, e non si mette seriamente al lavoro per non farsi trovare impreparata alle prossime elezioni? Perché non prova a mettere un po’ d’ordine in casa propria, facendo capire agli italiani cosa propone e cercando quindi di riconquistarne la fiducia? Il sospetto è che non lo faccia perché in questo caso si tratterebbe di scegliere, cioè accontentare gli uni a discapito degli altri. A quel punto, le divisioni che si immaginano a destra si mostrerebbero come l’immagine proiettata n uno specchio da se stessa.

 

 

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