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Giuseppe Conte smascherato: "Come è stato scelto", la vera storia del grillino

Pietro Senaldi
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Bisogna riconoscere all’avvocato Giuseppe Conte una dote che raramente i politici hanno, cioè la coerenza. Certo, il leader di M5S è agevolato dal fatto di non essere un politico e di non aver mai dovuto scrivere un vero programma elettorale, ma non stiamo a sottilizzare. Interrogato dalla Meloni sui progetti di riforma istituzionale, il grillino si è detto contrario all’elezione diretta da parte dei cittadini del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio e ha suggerito la creazione di una Commissione Bicamerale come via unica per rivedere la Costituzione, presentando ben undici proposte di cambiamento. In realtà lo ha fatto non perché ritenga i suoi suggerimenti geniali ma perché è convinto che sia la strategia migliore per mandare tutto in vacca e infatti non pare che le sue esternazioni siano state prese in grande considerazione.

 

 

 

Quel che però è maggiormente rivelatrice è l’avversione all’elezione diretta del Conte (noblesse oblige), che è perfettamente in linea con la storia di un premier scelto in una stanza d’albergo dai vertici dei due partiti che avevano vinto le elezioni nel 2018, dopo un casting stile Grande Fratello, con tanto di curriculum taroccato attestante master nelle migliori università europee e fotina segnaletica con ciuffo impeccabile. L’avvocato Giuseppe, segnalato dal suo dominus di studio, il potentissimo Alpa, artefice anche della sua cooptazione all’Università di Firenze, dove l’ex premier era divenuto professore di Diritto Privato con le pubblicazioni di un praticante, nonché amico di quel genio del diritto dell’ex Guardasigilli Bonafede che lo ha raccomandato, è stato imposto a Salvini e Giorgetti dalla quaterna Di Maio, Castelli, Buffagni e Spadafora. Oggi il nostro, dopo aver seppellito tutti i suoi sponsor, a differenza di lui regolarmente eletti, è stato nuovamente prescelto anziché scelto.

 

 

 

La sua prima legislatura infatti Conte non la deve a una vittoria alle primarie grilline, solitamente bastano poche centinaia di voti, ma alla benevolenza di Grillo, che gli ha fatto ben due favori. Il primo è stato designarlo come leader del Movimento, investendolo in un pranzo casalingo sull’arenile di Bibbiona, dove il comico ha una bella villa. Il secondo è stato liberarlo di tutte le zavorre grilline che lo avevano aiutato, da Toninelli a Di Maio, dalla Lezzi alla Azzolina, vietando il terzo mandato, senza deroghe, e consegnandoli così un partito mondato e bonificato da chiunque avesse una personalità superiore a quella di un lemure. E come fa, uno che è stato pescato dal nulla, catapultato dalla scrivania di un ufficio a giurare al Quirinale e accettato come premier sia dalla Lega sia dal Pd sia da Renzi ed elevato dall’Elevato per eccellenza, a digerire l’ipotesi che un domani un suo sostituto tragga legittimità da una cosa così volgare come un’elezione diretta? Meglio partire subito con il piede di traverso, pronto a lanciare l’allarme democratico, casomai la Meloni decidesse di scrivere la riforma istituzionale solo con il centrodestra e poi sottoporla al voto degli italiani. Il voto, già questa prassi che è democratica se premia i giallorossi ma è preludio di un ritorno del fascismo se contribuisce a eleggere chi è maggioranza nel Paese, ovverosia i rappresentanti del centrodestra.

 

 

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