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Tommaso Cerno inchioda Schlein: "Ha tradito l'anima Pd, i delusi andranno da Meloni"

Tommaso Cerno  

Pietro Senaldi
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«La Schlein non è mica il segretario del Pd, è quello aggiunto della Cgil, dove cerca di portare quel che resta dei Ds. Lei rappresenta la fine del veltronismo, che in realtà non è mai nato perché il Pd, non avendo mai vinto, non ha mai avuto vocazione maggioritaria».

Si torna indietro per andare avanti?
«Almeno è un progetto politico, e non dei peggiori. Lei radicalizza il Pd, punta a compattare la sinistra e portare il partito al 25% alle Europee, magari a farlo diventare la prima forza in Italia, le pare poco?».

In Parlamento però perde i pezzi...
«Ma quello è il Pd di Letta, che nessuno ha mai capito cosa fosse. Quei cattolici sociali, quegli economisti moderati, quei pensatori progressisti che sono andati nel Pd, credevano in una cosa che non è mai esistita. L’unico di quelli che rimarrà sarà Franceschini, che perciò conterà sempre di più.
Ci resta proprio per questo».

La Schlein si avvicina a M5S, che la sfugge per non subire una concorrenza interna a sinistra. Lei, candidato in Parlamento da Renzi, diceva di essere la sesta stella del Movimento. Perché non torna nel Pd?
«Perché quando il 25 aprile la Schlein si è travestita da partigiano della Brigata Garibaldi, lo stesso battaglione che a Porzus uccise il fratello di Pasolini e lo zio di De Gregori, resistenti non comunisti, ho capito che la segretaria stava tradendo i valori della sinistra. Io sono friulano e so che la mia Regione ha impiegato 70 anni per mettere una targa a Porzus che spiegasse davvero cos’era successo. Salti indietro, no grazie».

Bella pesante come affermazione...
«Lei il 25 aprile avrebbe dovuto scegliere di non avere intorno solo il suo mondo. Come leader della sinistra, avrebbe dovuto farsi carico dei cattolici, degli azionisti, dei liberali, dei socialisti, dei monarchici, di tutta quella complessità che la Resistenza fu. Allora avrebbe potuto dire che chi non era con lei è un fascista. Scegliendo di rappresentare solo i comunisti, ha rinunciato a ogni velleità di cambiare l’Italia. Perché solo se parli con tutti puoi incidere e la battaglia dei diversi diventa battaglia per gli uguali».

Dove finiranno tutti questi orfani del Pd che si erano illusi con Prodi, Renzi, Letta? Torneranno dal rottamatore?
«Più facile che si trasferiscano dalla Meloni in fila indiana».

Un bel salto. Siamo il Paese, anzi la Nazione, dell’eterno trasformismo?
«Direi dell’italianismo. Nulla è più italiano del riciclo, dell’amnesia e del salto della quaglia. È inutile parlare della Schlein con il fazzoletto rosso al collo nel 2023 senza avere un’idea del biennio 1943-45, due anni che non sono ancora passati e sui quali volutamente non abbiamo mai fatto chiarezza, che videro molti militanti fascisti riciclarsi nell’esercito, nelle istituzioni, nella diplomazia. Siamo transitati dal regime alla Repubblica senza una Norimberga e con un referendum taroccato. Non abbiamo mai fatto i conti con la storia e abbiamo trasformato il passaggio alla democrazia in un racconto epico e comprensibile piantato su valori univoci e imposti. Siamo la nazione che ha giustiziato senza processo il suo capo, ucciso l’amante incolpevole, forse perché in quegli attimi fatali aveva sentito qualcosa di irripetibile, raccontando poi che si era messa in mezzo tra la mitraglia e il corpo di Mussolini, e infine, con i voti del Partito Comunista che aveva appena sparato, abbiamo dato la pensione alla vedova del dittatore».

Tommaso Cerno è il rompiscatole della sinistra, quello che la mette di fronte alle sue contraddizioni, prima fra tutte quella di mascherare il suo imborghesimento conformista attraverso la promozione intimidatoria di un’unica morale, spietata, talebana e annichilente ma avvolta dal cellophane dei buoni sentimenti. Non fosse così, il giornalista non sarebbe passato da direttore dell’Espresso e condirettore di Repubblica ai banchi parlamentari del fu Pd di Renzi prima e alla direzione di un quotidiano così underdog come l’Identità. «La sinistra è una gigantesca, straordinaria idea del mondo che ha come obiettivo un pianeta unito in un’uguaglianza di fatto tra esseri umani che si compie attraverso processi sociali. C’è qualcosa del genere che ha promosso il Pd negli ultimi dieci anni?», si chiede provocatoriamente Cerno, per concludere che «la sinistra si è trasformata in destra, come dimostra la battaglia per il salario minimo, che significa che i ricchi devono decidere quanto guadagnano i poveri, una proposta che avrebbe potuto fare Ford. La sinistra è destra senza saperlo, per esempio nella difesa del matrimonio omosessuale, che è una difesa dell’istituzione più conservatrice attraverso la quale le famiglie si uniscono per trasmettere le proprietà e la gestione del sapere e dell’avere. Le nozze sono un valore di destra, anche se sono omo».

La sinistra sostiene che la destra sia contro le nozze gay perché è ancora fascista e magari lei sostiene che forse per questo essa è incapace di riconoscere che le nozze gay le appartengono culturalmente...
«Io non credo che ci siano dei fascisti dentro Fdi. Ci sono però persone che portano dentro di sé la storia di quel Movimento Sociale che non firmò la Costituzione. La Meloni ha rispetto umano per queste persone ma sta cercando di superarle, allargando sempre di più il partito».

Allude a La Russa e alle sue frasi su via Rasella consegnate proprio a Libero?
«La Russa non ha detto una cosa del tutto campata in aria, perché su quell’episodio la stessa Resistenza si divise e la storiografia oggi è divisa. In quel momento in Italia la violenza era diventata la sola strada per esprimere la vittoria. Ma io voglio andare oltre e affermo che La Russa deve dire grazie alla Resistenza, all’esercito americano e ai militari italiani che si rifiutarono di arruolarsi nella Repubblica di Salò perché è sulla base di questi passaggi che oggi la Meloni governa legittimamente con il voto degli italiani».

Ci sono troppi nostalgici in Fdi?
«A volte mi sembra che ci siano più nostalgici a sinistra, dove non si ammette che la destra possa avere avuto un’evoluzione democratica».

La Meloni riuscirà a fare il partito conservatore italiano?
«È dotata di una leadership più forte di quello che era possibile immaginare e mi sembra la sola leader contemporanea che c’è in Italia, capace di parlare in Europa un linguaggio attuale. Non so se riuscirà a costruire il partito conservatore ma certo ha fatto un enorme favore al sistema e all’Europa eliminando, anche grazie ai suoi rapporti con gli Usa, il problema di una destra eversiva».

Se la Meloni fa il partito conservatore e il Pd si mischia alla Cgil, chi fa un partito progressista in Italia, Renzi?
«Renzi ha perso un’occasione un paio di settimane fa, quando la maggioranza è andata sotto alla Camera. Se avesse sostenuto la destra, avrebbe potuto dire di aver salvato il governo. In assenza della controprova...».

Ma lo avrebbero accusato di essere passato a destra...
«Oggi Renzi non ha più possibilità di avere rapporti con la sinistra. Ne è stato il capo, anche perché quando prendi il 40% alle Europee il Pd, che ha una passione per il potere, ti segue, ma oggi può guardare solo dall’altra parte. E poi nella scorsa legislatura il leader di Italia Viva ha fatto cadere Conte, distruggendo sul nascere l’unica possibilità di una nuova sinistra, per quanto strampalata, capace di convincere l’elettorato, non per insediare Draghi ma per impedire che ci fosse una sinistra capace di vincere senza di lui. Di fatto è stato il primo atto di una sua partecipazione a un progetto elettorale di Centrodestra».

Ma Renzi non è di Centrodestra...
«Eppure in parte ha sempre guardato lì, come testimoniano le sue antiche visite ad Arcore. Il punto è che, dopo aver dato l’impressione di poter essere un leader maggioritario capace di incarnare un progetto di sinistra che convinceva anche un pezzo di Centrodestra, Renzi ha dato l’idea di vendere il progetto e la fiducia degli italiani per una questione personale e l’elettorato progressista non lo perdonerà mai. Il suo ruolo futuro però lo capiremo bene dopo il voto delle Europee del 2024, che sono un tagliando per il Centrodestra di governo, che potrebbe cambiare pelle e andare verso qualcosa di diverso, magari in stile Cdu tedesca».

Però in ogni caso il leader di Italia Viva sarebbe destinato a una posizione di subalternità?
«Sì, finché non diventa decisivo. Ricordo che Renzi ha distrutto Conte, da posizione subalterna».

E con Calenda, come finirà?
«È già finita, se mai è iniziata. E se Calenda sperava in qualcosa di più che un’alleanza elettorale, questo è un problema politico, ma solo suo. Entrambi, Matteo e Carlo, sono espressione di quei leaderismi italiani un po’ provinciali...». 

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