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Elly Schlein scaricata dalle penne di sinistra: "Senza progetto"

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Tommaso Montesano
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Il risveglio è stato brusco: i bastioni rossi caduti, il secondo turno che non favorisce più come un tempo la sinistra, il mito del buon governo degli amministratori locali progressisti sfatato, l’affluenza che per la prima volta falcidia il Pd. Insomma, un dramma. Perché va bene che Elly è segretaria da poco più di 90 giorni, ma un tonfo di queste dimensioni non se l’aspettava nessuno («Mamma mia che botta!», ammette l’Unità). Così, dopo l’ubriacatura post primarie – «Ci liberi al più presto da questa massa di incompetenti!», implorò Schlein Carlo De Benedetti, editore di Domani, lo scorso 1° aprile, alla festa del quotidiano – è già arrivato il tempo della ritirata. Contrordine, compagni: forse abbiamo sopravvalutato Elly. Quando è troppo, del resto, è troppo. E il crollo nell’Italia centrale, storico bacino elettorale del Pd, è troppo. «Non bastano la freschezza di una vittoria a sorpresa alle Primarie, la giovinezza di una leadership inaspettata, la novità di una donna finalmente alla guida. Sono stati, questi elementi, una spinta iniziale», osserva Annalisa Cuzzocrea sulla Stampa, ma non potevano bastare e infatti, «alla prima prova concreta, vera, sul territorio, non è bastato. Serviva un progetto, e quel progetto non c’è».

SENZA APPELLO
Leader bocciata. E senza appello. Con tanti saluti ai peana con i quali i giornaloni avevano accolto l’ascesa di Schlein alla segreteria. Ecco Marcello Sorgi, sempre sulla Stampa: «Le opposizioni non sono riuscite a costruire un’alternativa credibile, né ci hanno provato. L’illusione del Pd di contrapporre Schlein, con il suo notevole tasso di novità, alla prima donna premier, s’è rivelata artificiosa». Talmente artificiosa che piuttosto che votare Elly, osserva Sorgi, chi non si ritiene di centrodestra ha preferito scegliere i candidati civici, come è avvenuto a Terni e in Sicilia. Dalla Stampa ai “cugini” - di gruppo editoriale- di Repubblica. Tocca a Stefano Folli fare piazza pulita degli alibi. «Non è questione di circostanze sfortunate o del poco tempo avuto dalla neo-segretaria per rimodellare la propria creatura. Le proporzioni della sconfitta chiamano in causa la strategia, l’idea di partito che la leader ha coltivato. Di qui il massimalismo delle scelte, il rinchiudersi nel circolo ristretto dei collaboratori fidati (...)».

Di solito in politica i nuovi leader, nel breve periodo, beneficiano di quella che in gergo si chiama “luna di miele”. Una fase che, in media, dura almeno cento giorni, caratterizzati dal lancio delle proposte, e dei provvedimenti, più d’impatto nei confronti dell’elettorato. Tutto questo non è successo con Schlein, titolare - sostiene Folli - di una «leadership che non incide. Che non comunica alla maggioranza degli italiani, ma solo all’arcipelago delle minoranze». Quelle che si trovano, ha osservato tempo fa Antonio Polito su questo giornale, non nelle Ztl cittadine, ma addirittura nelle «aree pedonali». «Forse per Elly Schlein gli esami sono arrivati troppo presto», concede Roberto Gressi sul Corriere della Sera, «ma è un dato di fatto che la sfida questa volta non si è nemmeno giocata». Eppure un tempo il voto locale era il “bene rifugio” del Nazareno. «È una realtà che i due segretari precedenti, Nicola Zingaretti ed Enrico Letta, rapidamente costretti alle dimissioni, le loro tornate di elezioni amministrative le avevano comunque vinte». Elly, no.

PURE L’INGEGNERE
Come sono lontani i tempi dell’appello di Carlo De Benedetti a Schlein per liberare l’Italia «da questa massa di incompetenti» (il governo Meloni, ovvio). Oggiperfino Domani, il giornale di proprietà dell’Ingegnere, è costretto ad ammettere che il voto amministrativo ha rappresentato «una Caporetto» per la sinistra. Le aspettative, quindici giorni fa, erano altre: «La speranza dei primi turni è naufragata. L’effetto Schlein non c’è stato anche perché la segretaria governa il Pd in solitaria. Per questo ora, a torto a ragione», scrive Daniela Preziosi, «la responsabilità del risultato ricade sudi lei». Meno male, per la segretaria, che su Huffington Post, esce la difesa di Paolo Mieli. Titolo: «Difendo Schlein. Non ha colpe: lei è assente». Catenaccio: «La segretaria non ha responsabilità, è un’estranea. Per questo la difendo. Forse è un problema di gioventù: scompare e poi ricompare. La responsabilità è dei gruppi dirigenti, che la incoraggiano a dire vaghezze, e sono disposti a cambiare tutto pur di restare al potere». Chissà se Elly apprezzerà. 

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