illusioni

Giorgia Meloni, la sinistra sogna la spallata: hanno fatto male i conti

Fausto Carioti

Finora Giorgia Meloni ha deluso la sinistra su tutto. I motivi li ha ricordati Mario Monti a Radio 24: «Questo governo sta mostrando due sorprese grandi. Una è il modo di stare in Europa e d’interagire con l’Europa, che è un modo costruttivo. L’altro è il desiderio di osservare i vincoli della finanza pubblica, non solo perché ce lo chiede l’Europa, ma perché è nell’interesse del Paese». Insomma, chi aveva puntato su un esecutivo “sfascista”, pronto a risvegliare la speculazione e lo spread, ha perso. Il differenziale tra i Btp italiani e i Bund tedeschi ieri era a 164: molto più in basso di un anno fa, quando veleggiava attorno a quota 245. Otto mesi dopo l’insediamento del governo Meloni, nessuno crede più alla replica del copione del 2011, quando Silvio Berlusconi fu costretto a dimettersi dallo spread arrivato a 575. Carlo De Benedetti rantola inascoltato, quando profetizza – come ha fatto pochi giorni fa – che «Meloni andrà a sbattere contro l’Europa. Si dovrà ricorrere a una soluzione di emergenza come Monti e Draghi». Chi si augura la caduta della premier e l’insediamento di un esecutivo tecnico deve sperare in altro. Ha bisogno di introdurre nel teorema una variabile nuova, e la morte del Cavaliere l’ha appena fornita: la nuova trama prevede che senza di lui esploda Forza Italia, e di conseguenza finisca il governo.

 

 


LO SCENARIO DEI SOGNI
Una speranza, appunto. Priva di fondamento, peraltro: nessun parlamentare azzurro oggi è in procinto di lasciare il partito, e chi potrebbe farlo domani prenderebbe la direzione di Fdi o della Lega, restando quindi nella maggioranza. Giorgia Meloni è l’unica garanzia per i forzisti, perché sta a palazzo Chigi, e da lì comanda, e perché non ci sono alternative: Carlo Calenda e Matteo Renzi, impelagati nei loro problemi, non sono in grado di offrire salvezza a nessuno. Ma la scomparsa di Berlusconi è l’unica novità alla quale la sinistra può appendere i propri sogni. Così sulle pagine di Repubblica rispunta un grande classico: il desiderio mascherato da retroscena politico. La convinzione metafisica, tipica di un certo giornalismo, che se si scrive una cosa, e la si ripete, essa diventa più probabile e finisce per avverarsi. Così il quotidiano degli Elkann ieri ha svelato qual è «lo spettro» che turba i sogni della Meloni: la nascita di «un governo tecnico dopo il terremoto che travolgerà Forza Italia».


Gli ingredienti ci sono tutti: il partito azzurro vittima di un caos «sostanzialmente inevitabile» e destinato a deflagrare in «una miriade di pianetini-partitini», l’aggiunta del «mancato rispetto del Pnrr e il conseguente annullamento di una o più rate di finanziamento da parte dell’Ue» e la volontà di chi «in Europa ritiene di poter fare uno sgambetto alla destra italiana». Si innescherebbe così una «fibrillazione pesantissima» e una «tempesta sui mercati impetuosa» che farebbe cadere il governo. Aquel punto i parlamentari forzisti, privi di un leader, si trasformerebbero in altrettanti «responsabili» e brigherebbero, assieme alla Lega, per non andare al voto e aprire la strada a «un nuovo Draghi». Il trionfo dell’immaginazione, insomma. Lo stesso scenario vagheggiato da De Benedetti, che di Repubblica è stato per trent’anni l’editore, sul quale è stata innestata l’esplosione di Forza Italia, confidando che essa basti a farlo uscire dal mondo della fantasia e trasformarlo in realtà.

 


IL FINANCIAL TIMES
All’estero, dove l’andamento dei mercati e della politica non sempre si confonde con le speranze di chi dirige i giornali, si dipinge uno scenario molto diverso. Nell’articolo che il Financial Times ha dedicato ieri alla situazione italiana si legge che «è improbabile che l’eventuale implosione di Forza Italia scuota la stabilità del governo Meloni, poiché la maggior parte dei suoi parlamentari continuerà a sostenerlo». La crisi degli azzurri, semmai, sarebbe «una opportunità politica per Meloni», che potrebbe dare vita, come dice al quotidiano inglese il professor Roberto D’Alimonte, al «grande partito di destra che Berlusconi non è mai stato in grado di costruire». Così la fine anticipata del primo governo scelto dagli elettori dopo undici anni sembra destinata a restare la privata fantasia di chi non si rassegna alla realtà.