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John Elkann, il pizzino al governo Meloni: l'ultimo assalto

Sandro Iacometti
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C’è un aspetto comico nelle attenzioni che periodicamente l’Economist dedica all’Italia. Quando, alla fine di aprile del 2001, lo storico settimanale liberal britannico sparò in prima pagina il famoso «Unfit to lead Italy» con il fotone di Silvio Berlusconi, il Cavaliere qualche giorno dopo stravinse le elezioni e governò per cinque anni di fila. E siccome sbagliando, evidentemente, non si impara, il periodico ci è ricascato pure nel 2022, dedicando intorno al 20 settembre, una bella copertina a Giorgia Meloni, con un inquietante interrogativo: «L’Europa deve preoccuparsi?». Come è finita lo sappiamo. La leader di Fdi ha fatto il pieno alle urne e l’Europa non solo non si è preoccupata, ma l’ha accolta a braccia aperte. Al punto che lo stesso Economist, lo scorso gennaio, nel profetizzare «nubi scure all’orizzonte» (che ovviamente non hanno mai fatto capolino), è stato costretto a riconoscere l’ottimo rapporto tra la premier italiana e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Detto questo, sarebbe sbagliato derubricare l’ennesimo articolo (ne è uscito pure uno a inizio agosto sul presunto negazionismo climatico del compagno della Meloni, Andrea Giambruno) contro il governo italiano comparso in questi giorni sull’Economista simpatico portafortuna in vista delle sfide autunnali.

 

 

 

PROVE FASULLE
Non che l’analisi del periodico britannico sia particolarmente solida e stringente. Anzi. La tesi, sintetizzata nel titolo «Il governo italiano di estrema destra sta iniziando a sembrare più radicale», è che la Meloni e Fdi stiano progressivamente scivolando verso un «populismo culturale ed economico», dove il primo si manifesta con «una diffusa ostilità verso la diversità sociale, sia etnica che sessuale» e il secondo con «una profonda sfiducia nei confronti del libero mercato e un entusiasmo per un vigoroso intervento statale». Le prove? La premier sarebbe stata troppo silenziosa sulla vicenda del libro del generale Vannacci offrendo un tacito sostegno al razzismo e all’omofobia e avrebbe varato un provvedimento sulle banche dal sapore fortemente statalista.

Ora, tralasciamo per pietà il caso Vannacci, dove le argomentazioni del prestigioso settimanale si basano sul fatto che il ministro Crosetto sarebbe stato «furiosamente» criticato nelle chat di Fdi (?) e che il ministro Salvini, che non è di Fratelli d’Italia, avrebbe offerto sostegno al generale, e concentriamoci sulle banche. Il fatto di aver pubblicamente appoggiato e rivendicato personalmente la tassa sugli extraprofitti, a giudizio dell’Economist, dimostra inequivocabilmente che il partito della Meloni è molto distante dai conservatori britannici, teorici del laissez-faire, e affonda invece le sue «radici ideologiche nel nazionalismo statalista che caratterizzò il fascismo». Insomma, il balzello sugli istituti di credito è roba da Ventennio. Fingiamo sia vero. Ma come la mettiamo con il Pd, che continua a ribadire ogni giorno di aver presentato prima del governo un disegno di legge identico a firma Andrea Orlando e con i Cinquestelle, che invocano da anni tasse sugli extraprofitti e chiedono di allargare il perimetro a chiunque abbia guadagnato qualcosa negli ultimi anni. Già, poi c’è anche Mario Draghi, che nel 2022 fece la stessa cosa sulle società energetiche. Fascista pure lui?

La sostanza è che a leggere l’articolo dell’Economist sembra di scorrere un riassuntino, neanche troppo sofisticato, delle decine di articolesse pubblicate nelle ultime settimane da Repubblica e Stampa. E non è affatto un caso. Bensì il bandolo della matassa. A capo del gruppo Gedi che edita i due quotidiani, infatti, c’è la Exor della famiglia Agnelli e del suo plenipotenziario John Elkann. La stessa holding che, guarda un po’, dal 2015, è azionista di maggioranza dell’Economist, con una partecipazione di circa il 43%.

 

 

 

FANGO OLTRE CONFINE
Ora, è vero che l’Economist si porta sfiga da solo e che i suoi attacchi al governo sono sgangherati, ma il settimanale è pur sempre una delle più autorevoli pubblicazioni economiche internazionali. E mettere in circolazione oltre confine un po’ di fango, alla vigilia di una trattativa europea sul Patto di Stabilità che potrebbe essere determinante per la definizione della legge di bilancio, è uno sgambetto che segna un cambio di passo nella strategia di chi non gradisce questa maggioranza. Qualcuno, vista la scarsa efficacia dell’allegra combriccola Schlein, Conte e Landini, ha deciso che bisogna iniziare ad alzare il tiro.

E gli aiuti, a quanto pare, non mancano. Sull’ultimo numero dell’Espresso, ora di proprietà di Danilo Iervolino, imprenditore emergente con molteplici interessi ed attività che vanno dal calcio all’editoria, compare un articolo a firma Sergio Rizzo, ex giornalista di Corsera e Repubblica. Il titolo? «Quanto piace al governo lo statalismo». Condito con un occhiello che recita: «Ideologie che tornano». Già, perché non è lo statalismo buono dei dem, fatto di assistenzialismo e aiuti pubblici, e neanche quello populista grillino, che odia le multinazionali. Ma è, scrive Rizzo, «uno statalismo che sa di antico» e che «si arroga il diritto di stabilire le regole del vivere civile». La parola fascismo non compare. Ma solo perché Rizzo sa come tenere in mano la penna. 

 

 

 

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