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Se inventarsi nuovi reati non aiuta la giustizia (anzi)

Chiara Braga (Pd)

Perché non serve rendere autonoma la fattispecie: l'inasprimento delle pene non assicura l'effetto deterrenza.. E già esistono norme che puniscono le lesioni personali colpose

Francesco Specchia
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Brandizzo, con il suo carico di lutti spietati e di operai travolti da un treno maledetto, è una tragedia che - come dicevano gli antichi - copre di lacrime le cose.
Perciò, mentre la magistratura si produce nelle doverose indagini del caso; be’ stride un po’ osservare i sussulti giustizialisti di Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera nonché Giovanna d’Arco della gestione Schlein, mentre invoca un nuovo reato, «l’omicidio sul lavoro». Che, detta così, servirebbe a punire chi va sul posto di lavoro e vi ammazza qualcuno.
Sostiene, con raro tempismo, la Braga: «La prevenzione rimane l’arma più potente, ma il riconoscimento di una fattispecie sanzionatoria diventa un incentivo a considerare la vita dei lavoratori un bene da difendere prima di tutto e con ogni mezzo.
Perché il dramma di Brandizzo non si ripeta mai più».
Mai più.
 

RIFLESSI PAVLOVIANI Intanto, però, inventiamoci un nuovo reato. È un riflesso pavloviano. Landini sciopera a prescindere, l’Anpi richiama Silvio Berlusconi e i «veri lutti nazionali», la Braga sbraga sui codici. Ermes Antonucci sul Foglio lo chiama «tic del populismo penale». La deputata dem caldeggia l’inedito reato che punisca «chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali».
La Braga intende, di fatto, rendere autonomo il reato di omicidio sul lavoro, farne uno spin-off dell’omicidio colposo, ma più pesante. E vuole blindarlo con una serie di aggravanti: se la morte «è causata nell’esecuzione di un rapporto di lavoro irregolare sul piano contrattuale o contributivo», la reclusione è prevista da 5 a 10 anni. Se la violazione causa più vittime, come a Brandizzo, «si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma le pena non può superare anni 18». Diciotto annidi carcere, quindi, per i presunti responsabili dell’incidente Milano-Tori no.
Ad esser pignoli, quest’idea dell’omicidio sul lavoro, assieme alla costituzione di una apposita “Procura nazionale” – sulla scorta di quella per l’Antimafia per i reati appositi è un topos giuridico. E la fattispecie dell’omicidio dei lavoratori non è una novità. Già nel 2017, il senatore Barozzino di Sinistra Italiana fu primo firmatario di una proposta analoga. E a chi, garantista, gli chiedeva se non fosse preferibile dare maggiore attenzione alla prevenzione piuttosto che all’inasprimento delle pene, be’, il senatore rispondeva: «Ma oggi il mondo del lavoro è talmente cambiato, in peggio, tanto che sembra quasi impossibile parlare di prevenzione...». Peccato che le misure di prevenzione siano una delle pietre angolari della sicurezza pubblica dai tempi dei romani, ma tant’è.
Ma non fu l’unico a richiedere il nuovo reato. Lo stesso Pierpaolo Bombardieri, ottimo segretario della Uil l’ha evocato l’altro giorno tirando in ballo il governo: «Se la mafia uccidesse tre persone al giorno, lo stato si mobiliterebbe; invece volevano cancellare l’Ispettorato e “coprono” le imprese”». Non è esattamente così, ma il concetto passa chiaro. La soluzione, qui, starebbe nell’inasprimento delle pene attraverso, appunto, i nuovi reati; quando –al solito- basterebbe applicare, di pene, quelle che già ci sono basandosi su interpretazioni letterali o teleologici (laddove si dà peso prevalente allo scopo per il quale la norma è emanata) delle norme.
Ricordiamo, peraltro che già esistono norme che puniscono le lesioni personali colpose e, appunto, l’omicidio colposo (art 589-590 cp) . E la pena prevista per l’omicidio (da 2 a 7 anni) è praticamente le stessa, nel reato autentico e in quello immaginato.
Il Foglio, commentando la Braga, parla di una cocciuta tendenza ad alimentare il «circolo vizioso giustizialista». In realtà, nel diritto penale il principio della deterrenza -più alte sono le pene, più basso è il rischio che qualcuno s’azzardi a delinquerenon è così feroce.


EFFETTO DETERRENZA Giorgio Santacroce, già primo presidente della Cassazione, all’inaugurazione dell’anno giudiziario di qualche anno fa fece la seguente considerazione: «La gravità della sanzione non assicura un effetto di deterrenza, sicché appare criticabile la tendenza del legislatore a inasprire continuamente le pene detentive. L’esempio più lampante è che per esempio la Fini-Giovanardi non ha prodotto alcuna contrazione dei reati in materia di droghe». Per dire. I reati dipendono da una serie di variabili relativamente indipendenti dalla pesantezza della pena. E la pesantezza della pena incide assai meno di quel che si creda sulla prevenzione del reato. E si potrebbe imbastire un discorso molto tecnico, a piena potenza dei nostri codici, se siano davvero necessari il reato di “tortura” odi “femminicidio” o qualsiasi nuova fattispecie quando il codice penale già prevede i medesimi reati “nell'ambito della definizione di ampie specie delittuose”. Ma sollevare dubbi non fa bene. Data l’inefficienza generale della nostra giustizia probabilmente è meglio spostare l’attenzione verso la pancia dell’elettore (talora comprensibilmente, si badi), il quale, sul nuovo che avanza, si sa, recupera speranze e voti..

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