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La sinistra vuole cancellare il Msi e la Lega ricorda la nascita del Pci

Alberto Busacca
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È una questione politica. Ma è anche una questione di stile. Il modo in cui destra e sinistra trattano la storia del Novecento dice molto dell’Italia di oggi. Da una parte c’è chi riesce a guardare indietro con distacco e lucidità, riconoscendo anche il valore del passato altrui, dall’altro chi invece continua a fomentare un clima da guerra civile ampiamente fuori tempo massimo. Cominciamo da questi ultimi... Siamo ad Arezzo, dove il sindaco, dal 2015, è Alessandro Ghinelli, a capo di una coalizione di centrodestra. Succede che il Consiglio comunale ha deciso di commemorare la figura di Oreste Ghinelli, avvocato scomparso nel 1985, storico dirigente del Msi nonché padre del primo cittadino. La decisione, nello specifico, è stata presa da Luca Stella, presidente dell’assemblea, in occasione del centenario della nascita del signor Oreste, consigliere comunale per 37 anni consecutivi, dal 1948 fino alla morte. Insomma, niente di sconvolgente.

Ma la sinistra ha subito drizzato le antenne. Perché Oreste, oltre a essere un missino, in gioventù aveva anche aderito alla Repubblica sociale italiana. E quindi via con l’indignazione antifascista. Hanno iniziato i gruppi consiliari di opposizione (Pd, Arezzo 2020 e Movimento 5 Stelle), secondo cui «il Consiglio comunale di un capoluogo di provincia medaglia d’oro della Resistenza non è luogo opportuno per commemorare» un ex fascista. Poi il caso è diventato nazionale. E sono intervenuti, tra gli altri, Laura Boldrini («È scandaloso celebrare i 100 anni dalla nascita dell’ex segretario provinciale del Msi. Il Pd e le altre opposizioni hanno fatto bene a protestare. Viva Arezzo antifascista, viva l’Italia antifascista!») e Nicola Fratoianni, che ha fatto un’interrogazione parlamentare in cui chiede di «sapere dal governo se il ministro dell’Interno non intenda verificare se per l’organizzazione della commemorazione del centenario della nascita di Oreste Ghinelli siano state impiegate risorse pubbliche, dal momento che non si ravvisa alcuna finalità istituzionale odi pubblico interesse nel celebrare una figura che ha aderito alla Rsi».

 

 

Queste proteste dei progressisti sono strane per almeno due motivi. In primo luogo perché, come ricordato dal vicesindaco Lucia Tanti, Oreste Ghinelli è già stato ricordato otto anni fa, all’interno del ciclo di incontri “I protagonisti del Novecento aretino”: «Era per la precisione il 17 marzo 2015, nell’Arezzo ancora governata dal centrosinistra, e nessuno ebbe da eccepire. Per questo sorprende e dispiace leggere le critiche di queste ore». In secondo luogo perché Ghinelli non è certo il primo missino o il primo aderente alla Rsi che viene ricordato pubblicamente.

Basta solo pensare alle parole dette nel 2014 dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione del centenario della nascita di Giorgio Almirante: «Almirante è stato espressione di una generazione di leader di partito che, pur da posizioni ideologiche profondamente diverse, hanno saputo confrontarsi mantenendo reciproco rispetto, a dimostrazione di un superiore senso dello Stato che ancora oggi rappresenta un esempio».

Sono passati meno di dieci anni, ma sembra un altro mondo. I compagni sono tornati indietro, riscoprendo un antifascismo militante che appare grottesco e obsoleto. L’obiettivo è provare a censurare la storia della destra italiana, e il caso di Arezzo non è isolato. A Desio, ad esempio, una decina di giorni fa, i progressisti al completo hanno cercato, senza riuscirci, di impedire la presentazione di un libro su Giorgio Pisanò patrocinata dal Comune.

 

 

E dall’altra parte cosa fanno? I tentativi di censura riguardano anche la destra nei confronti nella sinistra? Non sembra, in realtà. Manfredi Potenti, senatore leghista di Cecina, ha infatti appena preparato una proposta di legge per far diventare monumento nazionale il teatro Goldoni di Livorno, dove nel 1921 ci fu la scissione del Partito socialista che portò alla nascita del Pci. La proposta, si legge, «trae origine dal particolare valore architettonico» del teatro, «primo esempio in Italia di architettura in ferro e vetro, ma anche e soprattutto dalla volontà di riconoscere un indiscusso trascorso storico ben noto a livello internazionale per gli eventi ivi scaturiti nel 1921». Ovvero la scissione socialista che porterà poi, in un altro teatro cittadino (il San Marco), alla fondazione del Partito comunista. Essì, la storia è una questione politica. Ma è anche una questione di stile. 

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