L’unionista radicale

Romano Prodi, il sogno di un'Italia vassalla dell'Europa

Pietro Senaldi

«Scelta folle e assurda, che isola l’Italia». Il professor Prodi ha confessato a Repubblica tutto il proprio sdegno per il voto contrario del Parlamento alla ratifica del Mes, il meccanismo europeo di stabilità, affossato da Fdi, Lega, M5S e dall’astensione di Forza Italia. L’ex presidente della Commissione rivela anche di ritenere «poco intelligenti» le nuove regole del Patto di Stabilità, elaborate per lo più da Germania e Francia, «ma pur sempre migliori di quelle precedenti, che erano stupide», e che però lui, quando era ai vertici dell’Unione non ha mai pensato di cambiare.

«L’Italia non ha contribuito alla stesura dell’accordo” lamenta il professore, “si è accodata, non ha neppure svolto il ruolo di mediatore»; il che significa che, se siamo isolati, non è per il voto parlamentare contro il Mes, avvenuto dopo la siglatura del patto.
Ha parlato parecchio il professore negli ultimi mesi.

 

 

Non stupisce la sua contrarietà alla bocciatura del Mes, quanto il fatto che critichi solo in chiave politica, non toccando l’aspetto tecnico, eppure di argomentazioni critiche ce ne sarebbero, malgrado di professione faccia l’economista e abbia abbandonato l’agone da quindici anni.

Ma è poi vero quel che dice, quando sostiene che l’Italia della Meloni è isolata nella Ue? È probabile invece l’opposto, che a Bruxelles la von der Leyen e gli ultra-europeisti incrocino le dita perché la leader di Fdi resti a Palazzo Chigi il più a lungo possibile.
Chi più di lei è in grado di garantire all’Europa stabilità e continuità alla guida del Paese? All’opposizione nessuno.

ETERNI DUELLANTI - Conte ha votato contro il Mes dopo averlo avviato da premier, quindi è il più inaffidabile di tutti. La Schlein guida un partito troppo debole, spaccato in due all’interno e incapace di farsi guida delle sinistre. Renzi e Calenda sono come gli eterni duellanti di Conrad, si detestano ma se non si riuniscono rischiano di non superare la soglia di sbarramento per accedere all’Europarlamento, non possono vivere l’uno senza l’altro.

 

Prodi tutte queste cose le sa, è consapevole che il Pd sia «un insieme di ingranaggi non sempre allineati, per cui ogni risultato diventa difficile da raggiungere». Eppure non si schioda di un passo, come nella splendida imitazione che ne faceva una vita fa Corrado Guzzanti, raffigurandolo impalato dietro la linea gialla al binario della stazione di Bologna. Il professore potrebbe fare la riserva della Repubblica, ruolo che sta tentando di esercitare un altro accademico di lunga esperienza europea che si è scottato a Palazzo Chigi, Mario Monti. Ma non ci riesce.

Saranno i natali reggio-emiliani, sarà l’appartenenza viscerale a un sistema di potere che ha fatto la storia del Paese e si è sempre opposto fermamente a ogni cambiamento, da Berlusconi in poi, Prodi resta uomo di parte anche quando parla di massimi sistemi. Sotto sotto, considera la Meloni una fascista ripulita, Salvini un estremista e Forza Italia come ciò che rimane di Satana e, pur non essendo per nulla convinto di Elly Schlein, fa buon viso a cattivo gioco, affidandole le sorti della sinistra. Per questo è bilioso con Giorgia e il governo e troppo clemente con quella che ritiene una ragazza dalle idee un po’ confuse.

 

 

Il Pd gliene ha combinate di tutti i colori. Lo ha infiocinato sulla via del Quirinale, nel 2014, perché non voleva al Colle qualcuno con troppo potere, che potesse non riferirgli e avesse interlocuzioni più alte dei capi partito, sia in Italia sia all’estero.

In precedenza la sinistra lo aveva sgambettato a Palazzo Chigi per ben due volte. La prima per mano dei comunisti, che non volevano piegarsi a un ex democristiano, l’ultima accelerando la fusione a freddo tra Ds e Margherita, per creare un soggetto forte che facesse capire al professore premier che non poteva essere lui a dare le carte. Ma Prodi, benché chi lo conosce bene lo descriva rancoroso, ci è sempre passato sopra considerando il centrodestra, chiunque lo guidasse, come qualcosa con cui non si può e non si deve dialogare.

 

 

SGAMBETTATO - Non si sa quanto per conoscenza analitica e quanto invece per suggestione ideologica, il professore è animato dalla certezza che il progetto della Meloni di spostare più a destra il baricentro dell’Unione sia fallito in partenza e che i giochi li faranno sempre Germania e Francia, con l’Italia nel ruolo di vassalla, nel migliore dei casi. E’ una convinzione che ha maturato sul campo, vivendo l’Europa da protagonista e tastando personalmente la realtà di un’Italia imbelle. Per le prospettive del Paese la cosa migliore sarebbe che si sbagliasse, non riuscendo a capire l’evoluzione che ha avuto la Ue e l’involuzione di Berlino e Parigi. I primi segnali che arrivano dopo la bocciatura del Mes sono incoraggianti: lo spread cala, i mercati salgono. Il Professore deve scegliere se tifare Italia o tifare Pd, perché le due cose non sono più compatibili. La scelta non dovrebbe essere difficile, visto che il Pd non ha mai tifato per lui, ma forse il legame con quel mondo che l’ha portato dalla provincia al tetto dell’Europa è più forte di tutto, anche se è una realtà che ormai non c’è più e né la Schlein né nessun vagheggiato federatore possono farlo tornare.