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Regionali? Fuga dalle urne e "sfiducia-crazia": ecco le nuove elezioni

 Elezioni regionali

Francesco Carella
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Le ultime due tornate elettorali, sia in Sardegna che in Abruzzo, hanno dimostrato ancora una volta che accanto alla polarizzazione del sistema politico assume sempre più carattere stabile un’altra gara fra due entità che finiscono quasi sempre per chiudere la partita alla pari: i votanti e gli astensionisti. Si tratta di una tendenza che si manifesta ormai da alcuni lustri e che riguarda tutti i Paesi occidentali. Stiamo assistendo a un vero e proprio capovolgimento del modo d’intendere la partecipazione politica sia da parte del cittadino, sempre più indifferente rispetto alla selezione delle leadership per mezzo del voto, che sul fronte delle classi politiche interessate, seppure legittimamente, più ai risultati immediati che ai mutamenti di lunga durata in grado di mettere seriamente a rischio il sistema democratico.

Le democrazie traggono linfa vitale da una continua osmosi, garantita dalle istituzioni rappresentative, fra i risultati raggiunti dalle parti (di governo e di opposizione) e l’intero corpo elettorale. Si tratta di un meccanismo semplice, ma nel contempo fragile, come già avevano compreso nel lontano 1649 in Gran Bretagna gli estensori del Mayday Agreement i quali, anticipando i princìpi che animeranno le rivoluzioni del Diciassettesimo e Diciottesimo secolo, furono i primi ad ammonire circa la pericolosità di un «potere legittimo minato da una diffusa riserva di sfiducia».

 

 

LE RAGIONI DEL DISTACCO - Pertanto, una classe politica responsabile non può che inserire al primo punto della propria agenda la ricerca delle ragioni alla base di ciò che lo storico Pierre Rosanvallon chiama «democrazia della sfiducia».

Secondo il filosofo Michael Walzer, per capire le trasformazioni in atto, occorre partire dai radicali mutamenti economici a causa dei quali negli ultimi cinquant’anni si è notevolmente allargato il perimetro della «società dell’esclusione». «Gli individui si fidano meno gli uni degli altri», scrive «sia a causa della crescente incertezza economico-sociale legata ai fenomeni del mondo globale sia a motivo dello sgretolamento dei vecchi luoghi di socializzazione, in particolar modo i partiti politici, indispensabili per orientarsi razionalmente in una realtà in continuo mutamento. Dalla mancanza di fiducia reciproca fra le singole persone alla rottura fra élite e popolo il passo è breve».

 

 

Il caso italiano presenta, come in tanti altri passaggi storici, delle peculiarità aggiuntive. Infatti, la disaffezione elettorale nel nostro Paese è in gran parte da porre in relazione a un dato di fatto: l’elettore diserta le urne soprattutto perché ha piena consapevolezza di contare poco se non addirittura per nulla.

MINIMA SCELTA - Del resto, la libertà di scelta a disposizione degli aventi diritto nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento con l’attuale legge è ridotta ai minimi termini. La qual cosa contrasta con i princìpi e le procedure di una democrazia liberale. Infatti, non è un caso che sul tema delle grandi liste bloccate sia intervenuta più volte la Corte costituzionale a partire dalla sentenza n°1 del 2014.

In un contesto politico siffatto, è più che mai urgente cercare di recuperare la fiducia degli elettori, partendo dalla realizzazione di riforme che siano in grado di mettere nelle mani del cittadino-sovrano regole chiare sia per esprimere una Camera e un Senato più rappresentativi che per potere indicare direttamente il nome del premier. La rivitalizzazione della democrazia è cosa troppo seria e vitale, per continuare a differirla ulteriormente.

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