Cerca
Cerca
+

Ilaria Salis esce di prigione e attacca il governo: ora teme per le elezioni...

Ilaria Salis

Tommaso Montesano
  • a
  • a
  • a

C’è un cortocircuito continuo sul caso di Ilaria Salis. Più il governo si muove, più il padre Roberto, e l’opposizione, negano qualsiasi merito all’esecutivo. Quasi che la concessione degli arresti domiciliari alla ragazza dopo 15 mesi di carcere, con l’inevitabile attenuazione dell’attenzione dell’opinione pubblica sul suo caso, sia vista con timore. È un paradosso, politico ed elettorale: più i fari sulla vicenda sono accesi, con il corollario di polemiche contro il premier ungherese Viktor Orbán e l’alleata Giorgia Meloni nella parte dei cattivoni, più il dividendo nelle urne è assicurato. Del resto l’alleanza Verdi-Sinistra deve superare l’asticella del 4% per eleggere suoi rappresentanti a Strasburgo. E cosa c’è di meglio di una candidata in manette e catene a Budapest su cui fare campagna elettorale? Dall’altro ieri questo non è più possibile, visto che il tribunale ha accolto la richiesta di detenzione domiciliare per Salis. Ieri si è saputo che la famiglia pagherà la somma richiesta a titolo di cauzione - 40mila euro - prima del 24 maggio, data della prossima udienza. «Finché il tribunale ungherese non vedrà l’accredito del bonifico non la libererà», ha detto Roberto, il padre della detenuta.

Esaurito anche questo passaggio, il prossimo “step” riguarderà il trasferimento della donna in Italia, come ribadito ieri da Salis senior. E pure qui, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha teso una mano alla famiglia: «Ora ci adopereremo per gli arresti domiciliari in Italia, facciamo il nostro dovere. Se la signora Salis chiederà di andare ai domiciliari in Italia, lo potrà fare. Sosterremo questa proposta. Credo si possa fare e non è assolutamente in contrasto con il diritto comunitario». Poi il titolare della Farnesina ha di nuovo ringraziato «tutti i nostri diplomatici. Sono fiero del lavoro che ha fatto la nostra ambasciata in Ungheria e di quello che ha fatto il nostro consolato. Non rispondo a polemiche». Parole in linea con la strategia, alla luce degli eventi vincente, adottata dal governo fin dall’inizio. Ovvero che il clamore mediatico, le polemiche, lo scontro diplomatico, non giovano alla causa della signora Salis.

 

 

A RUOTA LIBERA
Tutto il contrario dell’approccio adottato dalla famiglia, che ha sempre “personalizzato” la controversia a fini politici, come testimonia la candidatura della figlia Ilaria nelle liste di Alleanza Verdi Sinistra. Nicola Fratoianni, uno dei leader della formazione politica, intervistato dal Corriere della Sera ha celato a fatica la delusione per la chiusura, almeno temporanea, della questione: «Con l’impegno di Roberto Salis, la mobilitazione di molti parlamentari, la nostra delegazione presente il 28 marzo all’udienza a Budapest, quando la richiesta dei domiciliari venne respinta, tutto insieme ha fatto sì che il silenzio, dopo 13 mesi si sia rotto, è diventato rumore e qualcosa si è mosso». Insomma, tutto merito del baccano dei “compagni”, altro che diplomazia e contatti riservati, come invece ha lasciato intendere Raffaele Nevi, vicecapogruppo vicario di Forza Italia alla Camera: «La Farnesina e la Giustizia hanno suggerito agli avvocati della Salis un percorso. Il trambusto ha solo fatto arrivare un po’ più tardi i domiciliari...».

 

Fatto sta che Salis si appresta a lasciare il carcere e il padre Roberto continua a prendersela con Palazzo Chigi e la Farnesina: «Loro sono d’accordo con quello che sta facendo Orbán». Non contento di aver sparato a zero sui giornali («non credo proprio che le autorità italiane abbiano contribuito in qualche modo a questa svolta», La Stampa; «non abbiamo visto alcuna volontà concreta né da parte di Tajani né da parte di Nordio», La Repubblica), ieri ci ha messo il carico rispondendo a brutto muso proprio a Tajani, che aveva appunto ricordato i «meriti» della nostra diplomazia: «Tajani parla di meriti dell’ambasciata e del governo ma mi dovrebbe dire precisamente in che cosa consistono questi meriti perché io non lo so. La decisione di fare ricorso è stata unicamente della famiglia, non è stato un suggerimento dell’ambasciata né del ministero degli Esteri, né caldeggiata né suggerita da nessuna istituzione». Altro ministero, altro giro: la proposta del Viminale di «iscrivere mia figlia al registro dei residenti all’estero per poter votare è totalmente fuori luogo. Se Ilaria spostasse la residenza in Ungheria, non potrebbe più chiedere i domiciliari in Italia». E lo scontro continua.

Dai blog